lunedì 23 ottobre 2023
Doppia segnalazione all’Ordine dei giornalisti per la vicenda dell'ex compagno della premier. Per la Fnsi l’85% delle giornaliste ha subìto commenti a sfondo sessuale nelle redazioni
La piaga delle molestie sul posto di lavoro

La piaga delle molestie sul posto di lavoro - Imagoeconomica

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Riguardano la premier Giorgia Meloni e il suo ormai ex compagno Andrea Giambruno gli eventuali sviluppi di una vicenda privata finita - loro e nostro malgrado - in pasto alle televisioni, ai giornali e ai social network. Quel che invece riguarda e coinvolge tutti, uomini e donne, è il sessismo emerso dai fuorionda del giornalista di Mediaset, non a caso segnalato dall’Ordine della Lombardia al Consiglio di disciplina territoriale per i due servizi mandati in onda da Striscia la notizia il 18 e il 19 ottobre. E dal quale sono emerse frasi e allusioni rivolte ad alcune colleghe del programma Diario del giorno, sicuramente sessiste ma che potrebbero configurarsi a tutti gli effetti come molestie.

Il tema non è nuovo in ambito giornalistico: appena prima dell’estate, tanto per fare l’esempio più recente, avevano sollevato un polverone i commenti dei due conduttori di Sky Matteo Bobbi e Davide Valsecchi, che durante il Gran Premio di Spagna avevano messo gli occhi sul «pacchetto di aggiornamenti» di una giovane voltata di spalle sullo sfondo dell’inquadratura. Ciò che costò loro una breve sospensione, da molti colleghi considerata esagerata perché «i due stavano solo scherzando».

Secondo un’indagine effettuata nel 2019 dalla Federazione nazionale della stampa, d’altronde, ben l’85% delle giornaliste che lavorano come dipendenti dei media subisce molestie, la maggioranza delle quali proprio verbali: commenti sui vestiti o su particolari del corpo, nomignoli, frasi a sfondo sessuale. Ma anche telefonate sconce, messaggi con avance, doppi sensi... Quelle che, con evidenza, per molti colleghi maschi sono di nuovo «solo battute». Così come la pacca sul sedere alla giornalista Greta Beccaglia da parte di un tifoso, al termine della partita Empoli-Fiorentina, nel novembre 2021, era solo una “ragazzata” ma invece è stata punita come violenza sessuale, e quindi con un anno e 6 mesi di reclusione.

Ma il fenomeno del sessismo o peggio delle molestie sul lavoro (sanzionate dall’articolo 660 del Codice penale) investe tutti gli ambiti professionali: l’ultima indagine Istat, condotta su un campione ben più ampio e variegato di lavoratrici, racconta di quasi un milione e mezzo di donne tra i 15 e i 65 anni messe pesantemente a disagio da comportamenti inadatti da parte di un collega o di un superiore. Il 9% del totale. Il 7,5% delle donne ha subito un ricatto sessuale per ottenere un lavoro, per mantenerlo o per ottenere un avanzamento di carriera. Meno dell’1 per cento però denuncia. Il problema? «Proprio l’incapacità di riconoscere le molestie quando avvengono, specie se verbali», spiegano dalla Fondazione Libellula, una rete che raccoglie oltre ottanta aziende unite contro la violenza sulle donne e che è impegnata in numerosi progetti di sensibilizzazione e corsi di formazione rivolti proprio a lavoratori e lavoratrici. «Il linguaggio è un’arma, le parole sono violenza e solo chiamando le molestie col loro nome possiamo individuare il problema con la sua possibile soluzione».

È successo a Carolina, 23 anni, stagista. Il datore di lavoro ha iniziato con qualche apprezzamento solo apparentemente innocuo. («Sei proprio una bellissima ragazza», «Stai bene con quella maglietta»...). Ma un giorno che la ragazza soffriva di mal di schiena, lui con la scusa di farle un massaggio le ha messo le mani addosso. «Lei è corsa via e l’ha denunciato per molestie - racconta l’avvocata romana Valentina Ambrosio -. Lui per tutta risposta l’ha citata in giudizio per calunnia. La sua parola contro quella di Carolina». Ambrosio, che è anche cantautrice, a tutte le donne che vorrebbero sfuggire a situazioni di molestie o violenze ha dedicato la canzone “L’amore non fa così”, che è stata “adottata” dalla Fondazione Bellisario, il network di donne «per costruire un paese a misura di donne e di crescita».

Il sessismo in ufficio è una non-notizia per Liliana Ocmin, per 14 anni responsabile del Coordinamento donne della Cisl e ora membro del cda dell’Organizzazione mondiale del Lavoro (Oil) in rappresentanza delle tre Confederazioni sindacali italiane. «Non-notizia perché un comportamento assai diffuso di colleghi e capi verso colleghe e sottoposte viene purtroppo del tutto “normalizzato”, spesso anche dalle stesse donne. Allusioni pesanti, parole fuori posto vengono vissute spesso come “scherzi” e le donne, seppur a disagio, non ne parlano, spesso assecondano per paura di perdere il lavoro. I sindacati si sono impegnati moltissimo per la prevenzione di questi atteggiamenti. Un centinaio di contratti contengono codici di condotta, formazione e presidi per offrire tutele alle donne, nella pubblica amministrazione è previsto perfino il licenziamento se si travalicano i limiti. L’Italia inoltre ha ratificato la Convenzione Oil per l’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, è legge dal 2022. Ma non abbiamo modificato le nostre leggi», conclude Ocmin. All’esame del Senato ci sono tre proposte di legge, di cui però non si parla più.

Ma soprattutto, quello che non cambia sono gli atteggiamenti. Aveva fatto scalpore prima della scorsa estate la vicenda delle chat sessiste utilizzate da un’agenzia di pubblicità di Milano, che aveva rivelato all’opinione pubblica un pezzo di mondo in cui la discriminazione nei confronti delle donne è più frequente di quanto ci si aspetti.

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