martedì 2 aprile 2019
La rabbia di chi lavora sul campo. Fulvi (Cncm): nelle comunità non ci sono frotte di bebè adottabili. Ferritti (Care): non serve una nuova inchiesta. Ma la Lega va avanti: deposita proposta di legge
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C’è sconforto, a tratti anche rabbia, tra chi ogni giorno vive la realtà delle comunità per minori italiane. Perché se da tempo si attende che qualcuno torni a parlare, e con la necessaria insistenza, della situazione dei piccoli (per lo più di età compresa tra i 10 e i 17 anni) fuori dalle loro famiglie e sparsi nelle oltre 3mila strutture censite da Nord a Sud, la sensazione diffusa è che si sbagli di nuovo bersaglio.

E proprio oggi la Lega ha depositato al Senato che alla Camera la proposta di legge per istituire una commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori alle case famiglia

Partendo più da esigenze elettorali che concrete. «Le dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini («Su tantissime case famiglia che fanno il loro lavoro, ci sono anche soggetti che tengono in ostaggio migliaia di bambini», ndr) mi hanno raggiunto mentre tornavo dalla Città dei Ragazzi di Roma, dove lavoro, e dove seguo trenta minori fuori famiglia» racconta Giovanni Fulvi, oltre che operatore sul campo nella struttura della Capitale anche presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (Cncm), che raggruppa circa 100 enti impegnati nel settore: «Di questi 30 minori, quasi nessuno è adottabile. La maggior parte è prossima ai 18 anni. Ecco già due dati concreti da cui bisognerebbe partire quando si parla di comunità per minori e case famiglia: all’interno di queste ultime non ci sono frotte di bambini che attendono d’essere adottati. E non ci sono frotte di bebè o di bimbi piccoli. Di più – continua Fulvi – il motivo per cui è necessario che rimangano del tempo, nelle comunità, è perché qui si lavora per farli rientrare nella loro famiglia di origine. Da cui sono stati allontanati».

Elementi cancellati dalle dichiarazioni «piuttosto approssimative» rilasciate nelle ultime ore. Per ogni minore d’altronde, rincara la dose la referente per i minorenni del Coordinamento nazionale della comunità di accoglienza (Cnca) Liviana Marelli, «c’è un progetto di accoglienza in comunità che è redatto e su cui ha titolarità il servizio sociale dell’ente pubblico. Questo vale anche per le dimissioni, quindi il minore arriva in comunità dopo un iter, ci resta se il progetto è congruo, e il tribunale per i minorenni è tenuto a controllare per legge, il procuratore della repubblica in base alla legge 149 del 2001 fa visite periodiche». Insomma, conclude Marelli, «si sta in comunità se serve e non è la comunità se può decidere se dimettere o trattenere un minore ». Non esattamente il “business” tratteggiato dal ministro dell’Interno.

«Di questi temi si è occupata di recente sia la Commissione bicamerale per l’Infanzia e l’adolescenza – spiega Monya Ferritti, presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (Care) – con decine di audizioni di rappresentanti di vari ministeri, di assistenti sociali, del non profit, sia la Commissione Giustizia della Camera svolgendo un’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido. Materiale a cui sarebbe bene attingere, piuttosto che pensare a ripartire da capo ».

Il punto però, per le famiglie, «è agire sui servizi territoriali che gestiscono le pratiche inerenti affidi, adozioni, affidamenti a comunità. Servono competenze, preparazione, servono risorse e persone. È su questi punti nevralgici del sistema che si dovrebbe finalmente intervenire, tenendo presente la realtà con cui abbiamo a che fare, i minori che sono davvero presenti nelle strutture o adottabili. Serve che guardiamo la realtà se vogliamo cambiare le cose ».

Ma la Lega va avanti: «Commissione d'inchiesta»

"La Lega ha depositato sia al Senato che alla Camera la proposta di legge per istituire una Commissione
parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori alle case famiglia. Vogliamo fare chiarezza sulle opacità di un sistema che, ad oggi, non consente di avere un quadro chiaro e aggiornato sul numero di minori coinvolti, in quali strutture siano ospitati e se quest'ultime rispettino gli standard minimi su servizi, assistenza, costi e trasparenza". Lo spiegano i capigruppo della Lega di Senato e Camera, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari

I due parlamentari affermano inoltre: "Occorre verificare che il diritto dei minori a crescere nella propria famiglia di origine sia sempre rispettato ed evitare casi di abuso e di non corretto utilizzo di risorse pubbliche. Ricordiamo che l'ultima indagine conoscitiva (2015) sulle attività e sul funzionamento delle comunità e dei centri a cui vengono affidati i minori, sui criteri di scelta, valutazione e controllo delle famiglie affidatarie e del contesto in cui vivono, aveva già evidenziato numerose criticità nella normativa vigente e l'inadeguatezza del sistema di rilevazione dei dati sui minori fuori famiglia".

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