giovedì 9 maggio 2019
Il documento è stato sottoscritto da Acli, Arci, Caritas e Cgil. «Col decreto sicurezza si consegnano i migranti direttamente nelle mani dei caporali e degli sfruttatori»
Alcun braccianti stranieri a Foggia chiedono migliori condizioni di vita. Sono pagati pochissimo e sfruttati. E il decreto sicurezza peggiora la situazione facilitando l'attività di caporali e sfruttatori di ogni tipo (Ansa)

Alcun braccianti stranieri a Foggia chiedono migliori condizioni di vita. Sono pagati pochissimo e sfruttati. E il decreto sicurezza peggiora la situazione facilitando l'attività di caporali e sfruttatori di ogni tipo (Ansa)

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«Il contributo dato allo sviluppo dalle lavoratrici e dai lavoratori migranti, la domanda di dignità di cui sono portatori, le tutele e l’accesso ai diritti cui aspirano, sono sfide che devono interpellare la collettività nel suo complesso, in una prospettiva di convivenza democratica». Comincia così la "Carta di Foggia per il lavoro dignitoso in agricoltura", firmata da Acli, Arci, Caritas, Cgil e Flai-Cgil, promotori del prossimo Festival Sabir, di cui Avvenire è media partner. Un documento che denuncia la «condizione dannosa per migliaia di donne e uomini, italiani e stranieri, i quali, giorno dopo giorno, e spesso seguendo il ciclo delle colture in una perenne transumanza finalizzata alla ricerca di occasioni di lavoro, contribuiscono alla tenuta dell’economia agricola».

Ad essere accusato è anche il cosiddetto "decreto sicurezza" che scegliendo «di ridurre le garanzie e le tutele dei cittadini migranti ed in particolare dei richiedenti asilo, consegna direttamente queste persone nelle mani dei caporali e sfruttatori». E questo a fronte di «numerose filiere agricole devono ancora prendere le distanze da incrostazioni che ne danneggiano la qualità etica e, al tempo stesso, alimentano una concorrenza sleale a danno delle aziende che applicano il Contratto».

Ma il documento non è solo denuncia. Così vengono delle precise proposte in sette punti. La prima e «la preservazione in toto della legge 199/2016 e la sua piena attuazione». Si tratta della legge contro il caporalato che, scrivono i firmatari, «rappresenta un importante segno di civiltà del nostro Paese con misure volte a contrastare, punire e perseguire il grave fenomeno dello sfruttamento in agricoltura e riconoscendo anche le responsabilità del datore di lavoro».

Per questo, aggiungono, è necessario «respingere ogni tentativo di manomissione e di depotenziamento della legge». Con un chiaro riferimento ad alcune prese di posizione dei ministri Salvini e Centinaio. Ma anche, come prevede la norma, accompagnare l’azione repressiva, con «azioni preventive di sensibilizzazione e di comunicazione, da diffondere su tutto il territorio per un reale cambiamento culturale».

In questo senso, come sottolinea il secondo punto, è molto grave che «a distanza di quasi tre anni dall’entrata in vigore, il numero di aziende agricole iscritte alla Rete del lavoro agricolo di qualità risulta molto esiguo, mentre si registra una quasi inesistente attivazione delle Sezioni territoriali della Rete». Un messaggio alle aziende che viene anche nel terzo punto quando si propone che «l’introduzione di clausole sociali e la puntualizzazione del rispetto dei diritti dei lavoratori devono essere requisiti fondamentali per l’accesso ai finanziamenti pubblici destinati all’agricoltura».

C’e poi il tema dell’accoglienza che «non può più essere considerata una questione marginale o residuale». Qui la chiamata in causa è doppia. A «farsene carico» dovrebbero essere imprenditori ed enti locali per «individuare soluzioni abitative dignitose che consentano di superare l’ormai intollerabile fenomeno dei ghetti».

Ma quello che «desta preoccupazione» è «la crescente "profughizzazione" del lavoro agricolo: sono migliaia i richiedenti asilo e rifugiati i quali, in assenza di percorsi protetti, sono costretti ad adoperarsi per la propria sopravvivenza con la ricerca di occasioni di lavoro in agricoltura». E qui nel mirino è il "decreto Salvini".

Il quinto punto è dedicato alla grande distribuzione che sta agendo «a scapito dei piccoli produttori il cui schiacciamento si riverbera necessariamente sull’anello più debole della catena, ovvero i lavoratori». Per questo «i piccoli produttori vanno incoraggiati ad aggregarsi in organizzazioni di produttori, come indicato dalle normative comunitaria».

Ma è anche necessario (sesto punto) che accanto alla certificazione biologica, «sia realizzata una tracciabilità etica ed energetica dei prodotti agricoli», per informare i consumatori «sul livello di inquinamento prodotto da parte delle aziende agricole» e «se la frutta o la verdura che stanno per mangiare sono state raccolte garantendo i diritti e la dignità dei lavoratori agricoli».

L’ultimo punto (settimo), infine, chiede «una profonda riforma della normativa sull’immigrazione», che «favorisca l’inclusione e allarghi gli spazi di partecipazione dei migranti alla vita sociale ed economica del Paese».



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