martedì 28 marzo 2023
Nel 2003 la corsa contro il tempo per fermare il virus della Sars: l’infettivologo vinse e salvò il pianeta, ma perse la vita il 29 marzo. Un libro ne racconta le battaglie e gli ideali
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Sono passati 20 anni da quando Carlo Urbani isolò il virus della Sars e, per fermare il contagio, diede la sua vita. Morì a Bangkok il 29 marzo 2003 e da allora il mondo intero lo celebra. Ma solo oggi, dopo che anche noi abbiamo toccato con mano cosa significhi una pandemia, capiamo fino in fondo quanto l’umanità sia in debito con il medico marchigiano, la cui azione immediata salvò il pianeta. Appassionato, guidato da una fede profonda, era ai vertici della Sanità mondiale e viveva in Vietnam con la moglie e i loro tre bambini. Riportiamo alcuni stralci dal libro Carlo Urbani-Il medico che curava il mondo di Lucia Bellaspiga, uscito in questi giorni per Áncora: sono citazioni di Urbani stesso, testimonianze, considerazioni (spesso anche scomode) dei colleghi che, 20 anni dopo, hanno dovuto fronteggiare il Covid-19.

Oslo 1999, Carlo Urbani, presidente italiano di Medici senza Frontiere, ritira il Nobel per la Pace a Msf. Il suo discorso è appassionato: «Perché un Nobel per la Pace? Cosa trasforma infermieri, medici e agguerriti logisti in strumenti di pace? Cosa trasforma il curare malattie e bendare ferite in atti dall'alta valenza politica? Davanti ai microfoni possiamo urlare che il premio non è per noi, ma per l'idea che salute e dignità sono indistinguibili nell'essere umano! Ora ricordiamo quei momenti in cui essere indipendenti e neutrali ci faceva rinunciare a scorte armate o a finanziamenti, ma ci poneva in stretto contatto con le vittime, facendoci diventare i testimoni dell'orrore di eventi che fanno della dignità umana un sanguinante misero fardello. Approfittando di questa inconsueta popolarità, lasciamo che i riflettori, illuminandoci, illuminino gli scenari dimenticati, affinché benefici del premio vadano a loro: alle vittime».

Vietnam, in cerca di passioni

«La settimana prossima faccio un esperimento. Ho scritto a Ginevra, ho chiesto di lasciarmi scomparire per sei giorni. Mi porteranno in un villaggio dimenticato, nel cuore di una di quelle zone remote dove la gente muore per cose semplici ed è quasi impossibile garantire l’accesso alla salute. Non scoprirò nulla di nuovo, di certo. Ma ne ho semplicemente bisogno. Voglio che ruvide carezze ricordino al mio cuore cosa sto facendo. Voglio che la rabbia e le lacrime sconvolgano i miei lineamenti, se necessario. Cong sa cosa cerco, mi ha detto "so che non andrai tra capanne e colline, ma andrai tra uomini, è quella la meta del tuo viaggio", lui lo ha capito! All’ufficio regionale hanno anche trovato un nome per questa missione, per riempire lo spazio tra i complicati modelli da compilare: si chiama “Ricognizione di approfondimento delle necessità sanitarie nelle aree rurali del Vietnam”… Per il mio cuore significa molto di più».

Il coraggio delle idee

«Nella vita sono sempre più esigente. La superficialità mi è divenuta intollerabile, l’indifferenza mi fa diventare quasi violento. Si dice in genere che non esiste mai una situazione con il bianco ed il nero ben distinti, ma che si può trovare della ragione e del torto ovunque. Io invece, per una dolorosa passione, continuo a credere che si possa dire “questo è sbagliato” o “questo fa schifo” senza titubare. Occorre saper distinguere dove il Bene sta, e dove il Male si annida. Le altre letture più equilibrate e moderate mi sembrano sempre più gravi ipocrisie. A tutto si tenta di trovare giustificazioni. Io invece sto con quelli che dicono che l’Afghanistan non si bombarda, che il morto americano vale esattamente quanto l’ignoto pastorello afghano o irakeno, e lo stesso vale per Israele e gli abusi commessi in Palestina. Così continuo a dire che il mercato è malato e va cambiato…»

«Con lui, turisti non per caso»

«Carlo coinvolgeva un gruppo di colleghi, i quali lo seguivano perché, diciamolo, lui per l’Africa era una guida sicura e i suoi viaggi erano avventurosi. Invece Carlo se li portava dietro in parte per spirito missionario e in parte perché voleva che toccassero con mano come deve essere un medico, che vedessero la vera sofferenza. Era molto critico con la nostra categoria qua in Italia, diceva che scriviamo ricette… ma non stiamo accanto al paziente». (Emilio Amadio, medico)

«Con il Covid avrebbe agito!»

«Carlo avrebbe avuto immediatamente la consapevolezza della severità della malattia e avrebbe giocato un ruolo incisivo sulle scelte da fare. Ricopriva un posto importante al tavolo delle organizzazioni mondiali che si occupano di sanità pubblica, e in quel ruolo avrebbe avuto modo di agire con autorità e competenza, cambiando i destini del mondo: nell’effetto domino di una pandemia virale la consapevolezza è tutto». (Elisa Vicenzi, virologa San Raffaele)

«Un eroe come Schweitzer»

«Io non sono credente, ma ho un grande rispetto per chi crede. Uno dei primi esempi straordinari di simbiosi tra fede e medicina a favore degli ultimi è Albert Schweitzer, il grande medico che scelse di andare a curare i lebbrosi. Penso che Schweitzer sia il capostipite che ha aperto la strada a quella grande tradizione nella quale Urbani si è formato scientificamente e spiritualmente. Provo sempre ammirazione per persone con questo tipo di vissuto». (Alberto Mantovani, Humanitas University)

«Uno così o lo ami o lo odi...»

«…e proprio questo capitava a Urbani. Persone come Carlo alzano lo standard, e questo se non sei come loro ti mette in difficoltà. Sono quei medici che stanno in ospedale 18 ore al giorno, che ci vanno anche di domenica per rassicurare i pazienti, che si fanno trovare a tutte le ore, che ti chiedono il favore di disturbarli se hai bisogno di loro. Chi oggi oserebbe ammettere di avergli fatto le scarpe? Eppure ad Ancona dava fastidio a molti quel giovane laureato già integerrimo nel considerare la medicina una missione e umanamente attratto da chiunque fosse nel bisogno, soprattutto dai primi malati di Aids». (Guido Silvestri, Emory University Atlanta)

Malato di Aids, gli devo la vita

«Quando entrava in reparto lo accoglievamo come “dottor Urbani”, ma lui guai, “io sono uno di voi, ragazzi, io sono Carlo”. Era realmente uno di noi. Ricordo che ci portava due o tre per volta in un laboratorio sotto le Malattie infettive, se l’era allestito lui… Un giorno fece una cosa grandiosa, “adesso vi faccio vedere con il microscopio elettronico il vostro nemico”. Ci prelevò il sangue, una goccia per ogni vetrino, e lo infilò sotto la lente, “guardate, è lui”. Misi l’occhio sopra il microscopio e vidi una sfera di colore celeste con intorno dei puntini neri che giravano velocissimi: era il volto dell’Hiv, quello era il virus infinitesimale che ci stava mangiando le difese immunitarie e Carlo ce lo faceva guardare in faccia, “almeno adesso sapete contro chi dovete combattere”. Urbani non è stato mai un medico che negava l’evidenza o che mentiva al paziente con false speranze, per questo noi, che eravamo tutti ragazzi dai 18 anni in su, ci fidavamo di lui». (Germano Santoni)

Cambogia 1997, in preghiera

«I piccoli lumi che brillano nei cuori di quanti si prodigano in questo magma di dolore lasciano sperare, ed il ricordo di chi ha deciso di scendere in questo scenario di continui soprusi e guerre, per morire poi su una Croce, mi fa credere che una luce di pace sarà pure nascosta dietro qualche orizzonte...». (Lettera di Carlo Urbani)


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