venerdì 24 giugno 2022
Il bilancio del 42° convegno nazionale Caritas nelle parole del direttore: preoccupano le nuove forme di disuguaglianza. Attenti al disagio mentale nei territori. Il "grazie" dell'Ucraina
Don Pagniello

Don Pagniello - Caritas

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Non tornare indietro dopo la pandemia. Le indicazioni date dal Papa alla Caritas un anno fa, all’udienza per il mezzo secolo, e dal cardinale Zuppi, neo presidente della Cei, lunedì scorso sono state recepite dai delegati di 165 diocesi italiane che a Rho hanno dato vita al 42° convegno nazionale delle Caritas diocesane. E quindi elaborate da padre Giacomo Costa, presidente della Fondazione Culturale San Fedele e consultore della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi con il direttore don Marco Pagniello, raccogliendo le suggestioni emerse dal confronto nei gruppi per provare a indicare le prospettive.

Don Pagniello, quali sono le principali preoccupazioni della Caritas dopo questo biennio segnato dagli effetti della guerra e del Covid?
Mi preoccupano in generale le forme di disuguaglianza che si stanno acuendo e in particolare tre nuove povertà. La povertà educativa, uno dei problemi più grandi perché i giovani hanno risentito di più di questo tempo difficile, e in particolare la dispersione scolastica. In Italia ci sono troppi abbandoni e chi lascia gli studi non viene cercato e sostenuto dalle istituzioni – quindi anche da noi – per riprendere il cammino. Dobbiamo fare la nostra parte anche con altre realtà.

La seconda?
Il disagio mentale causato e amplificato dalla pandemia. Il cardinale Zuppi lo sottolineava lunedì scorso nel suo intervento al convegno. Dopo tanta fatica la neuropsichiatria dice che aumentano i casi presi in carico a fronte della mancanza di strutture territoriali. Servono non solo case famiglia, ma strutture più leggere che possano offrire sollievo anche alle famiglie.

E gli anziani?
È la terza povertà. I dati dicono che sempre di più ricorrono alla Caritas, magari per il pacco viveri. In particolare chi vive di pensione sociale e in affitto paga sulla propria pelle gli effetti del caro bolletta e degli aumenti di prezzo degli alimentari anche per la guerra. Credo sia poco dignitoso in una nazione come l’Italia, che ha conosciuto stagioni migliori e deve trovare il coraggio di elaborare politiche di sostegno agli anziani anche per renderli protagonisti.

Di fronte alle guerre come in Ucraina e ai conflitti dimenticati, cosa propone la Caritas?
Abbiamo bisogno di capire il globale per leggere il locale, è la terza guerra mondiale a pezzi a dircelo. Penso al grande tema dell’immigrazione e di come l’accoglienza, nella quale siamo in prima linea, nasca dal fatto che tante persone sono costrette a lasciare la propria terra per guerre carestie e siccità. Dobbiamo avere il coraggio di tornare a parlare di prevenzione, accanto alla libertà di partire c’è quella di restare sul territorio dove si è nati o cresciuti. Conosco molti migranti e non ho visto in nessuno di loro la gioia piena di lasciare casa propria. Le vittime di guerre e persecuzioni qui respirano pace e libertà, ma portano dentro un grande dolore.

Ma come si possono chiedere nuove politiche di pace?
La pace si costruisce in assenza di guerra. In occasione dei 50 anni della legge sull’obiezione di coscienza dobbiamo interrogarci su come trovare modi nuovi di obiezione alle armi e nuovi sistemi di difesa per chi viene aggredito. Lo Spirito di pace ci sta sicuramente suggerendo qualcosa, è tempo di ascoltarlo.

Come cambieranno le Caritas per non tornare agli anni precedenti la pandemia?
Il cammino sinodale ci offre la possibilità di riscoprire la nostra storia. Abbiamo scelto di camminare con i poveri, oggi dobbiamo tornare a farlo lavorando con gli altri. Caritas italiana dopo questo convegno ha ascoltato e poi proverà ad aiutare le Caritas diocesane a non cadere nelle sacche dell’assistenzialismo guardando oltre, assumendosi responsabilità e trovando nuove vie per farsi compagni di viaggio dei poveri. Senza dimenticare il valore della profezia più che della denuncia. Non dobbiamo fare tutto, anche lo Stato e altre parti della Chiesa devono fare la propria parte. Dalle intuizioni raccolte in questi giorni di convegno dai territori si ridisegnerà la Caritas che affronterà con competenza e passione le nuove sfide.

Le Caritas a raccolta: il "grazia" dall'Ucraina


Le conclusioni dell’assise dedicate alla guerra. Tarquinio:
si mobiliti la società civile. Stimamiglio: la politica resta sorda

«Senza di voi non ce l’avremmo fatta. Grazie alla famiglia Caritas e alla solidarietà della parrocchie italiane. Ma la situazione resta drammatica». Padre Vyacheslav Grynevych, segretario generale di Caritas-Spes (la Caritas della Chiesa cattolica di rito latino) ha ringraziato mercoledì sera al 42° Convegno delle Caritas nazionali chi in quattro mesi ha inviato aiuti consentendo di sostenere 500 mila persone e quanto hanno accolto i profughi. L’incontro è stato caratterizzato dai brani eseguiti da due maestri di violino, la russa Ksenia Milas e l’ucraino Oleksandr Semchuk, coniugi che dal 24 febbraio girano l’Italia proponendo concerti di beneficenza con il progetto "La musica unisce".

Grynevych ha indicato le nuove emergenze. «Servono cibo, farmaci e prodotti per l’igiene. A Dnipro ad esempio ci occupiamo di oltre 5.000 persone che hanno bisogno di aiuti, ci sono file lunghissime. Durante l’attesa proviamo a fornire supporto psicologico». Le nuove emergenze? «Il supporto psicologico agli sfollati – prosegue Tetiana Stawnichy, presidente di Caritas Ucraina –, soprattutto a bambini e mamme, la maggioranza dei nostri assistiti». L’organismo della chiesa greco cattolica ha aiutato finora con cibo e kit di prima assistenza un milione di persone. «Nessuno sa quanto durerà il conflitto, certo avrà conseguenze per tutti. Il grano cui tutto il mondo è interessato è stato seminato, ma basterà per la nostra sussistenza. Siamo preoccupati per il taglio del gas per il riscaldamento. La stagione fredda da noi arriverà tra poco». Ambedue le Caritas registrano il ritorno dei profughi dall’Europa. «Ma spesso la loro casa è stata bombardata – segnala padre Vyacheslav – e sono costretti a vivere in alloggi di altre famiglie scappate. E ci sono immobili inabitabili senza finestre perché il vetro è introvabile. Lo importavamo da Russia e Bielorussia. Senza scambi commerciali siamo molto più poveri». Amina Krvavac, direttrice del museo dell’infanzia di guerra di Sarajevo, ha presentato l’attività che punta a conservare la memoria delle vittime innocenti dei conflitti. «Dal 2014 raccogliamo materiale in Ucraina, dopo lo scoppio del conflitto siamo stati evacuati».

Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, preoccupato per la prospettiva di lunga durata del conflitto, torna a sollecitare l’intervento Ue. «Sogno che si metta in rete l’Europa, che mi piacerebbe federazione di Stati. La mobilitazione della società civile può far tornare protagonista Bruxelles spezzando le logiche della guerra». Altre grandi potenze potevano fare meglio: «Se Cina e Usa avessero agito insieme la guerra non sarebbe scoppiata», ha aggiunto.

«Bisogna vigilare sul cuore – dichiara don Stefano Stimamiglio, neo direttore di Famiglia Cristiana – che può organizzarsi per il bene, svuotando arsenali e riempiendo granai, ma anche per il male. Stanno cambiando tutti i riferimenti geopolitici: all’eclissi dell’Occidente corrisponde l’ascesa di Oriente, Africa e America Latina, dove Mosca conta più di quanto pensiamo. Non riusciamo a interpretare a fondo il cambiamento d’epoca».


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