martedì 5 maggio 2009
Mentre stanno ancora affluendo i soldi raccolti nelle parrocchie, il direttore dell’organismo della Chiesa italiana indica gli obiettivi operativi. Don Nozza: già pronti da spendere 12 milioni. Ma devono ancora dirci dove possiamo operare.
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Ricostruire le scuole e case ad edilizia sociale per le fasce più deboli. È soprattutto co­sì che la Caritas italiana intende uti­lizzare i fondi raccolti tramite le of­ferte e la colletta organizzata dalla Cei. Nella quinta settimana dal si­sma, il direttore, il sacerdote Vittorio Nozza, attende ora notizie precise sui tempi esatti della ricostruzione. «Sono preoccupato perché le fami­glie non possono restare in tenda do­po settembre. Nei campi affiorano le inevitabili tensioni della convi­venza forzata. E nelle tendopoli spontanee più lontane dal capoluo­go la situazione è difficile. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo al­la seconda fase, che prevede l’usci­ta dalle tende, ma senza dati certi sulla collocazione delle casette che accoglieranno gli sfollati, ad esem­pio, non possiamo ricostruire le scuole o dare il via ai centri comuni­tari ». Che bilancio traccia dell’impegno delle Caritas diocesane in questo primo mese di emergenza? L’intervento emergenziale si è im­perniato sul centro di coordina­mento nazionale Caritas, aperto presso la parrocchia San Francesco d’Assisi del quartiere Pettino, attiva­to per coordinare i primi aiuti giun­ti da tutta Italia. Sottolineo, oltre al fiume di solidarietà e generosità de­gli italiani, lo straordinario impegno e lo slancio di operatori e volontari delle Caritas di tutta la Penisola, ol­tre 400, mobilitatisi immediata­mente. Nell’area terremotata si sono mosse soprattutto le Caritas dioce­sane dell’Abruzzo-Molise, le quali hanno provveduto all’attivazione immediata di 4 magazzini con ali­menti, medicinali, prodotti per l’i­giene, vestiti, lettini, sacchi a pelo, tende. Hanno curato l’assistenza materiale e morale alle famiglie sfol­late accolte nelle tendopoli e negli alberghi della costa. Dall’inizio del­l’emergenza, sono stati distribuiti a chi aveva perso tutto più di 2.000 persone quasi 3 tonnellate tra pasta, sugo, scatolame, 14 bancali d’acqua, 4 di pannolini , 3 di coperte, 5 di ve­stiti, 4.000 paia di scarpe. Abbiamo anche provveduto ad acquistare e distribuire alle parrocchie centinaia tra gazebo e tende comunitarie, sac­chi a pelo e lettini. Quanto è stato raccolto attraverso le offerte? Finora 12 milioni di euro. In queste quattro settimane sono state raccol­te offerte spontanee per circa 7 mi­lioni di euro, che saranno messi a di­sposizione per interventi avviati e da avviare, insieme ai 5 milioni stanziati subito dalla Cei. A questi 12 milioni andranno poi aggiunte le offerte, che devono ancora pervenirci, raccolte domenica 19 aprile in tutte le par- rocchie durante la colletta naziona­le indetta dalla Presidenza della Cei. Dai primi segnali che arrivano dalle diocesi più piccole, la risposta è sta­ta all’altezza del dramma. Come verranno impiegati i fondi raccolti? Il nostro stile prevede prossimità, presenza continuativa e di lungo pe­riodo con la gente. Abbiamo messo a disposizione della Caritas dioce­sana tre operatori come collega­mento con l’organismo nazionale e le diocesi. E tra un paio di settima­ne, presso il centro parrocchiale di Coppito, apriremo il nuovo coordi­namento Caritas e la sede della Ca­ritas aquilana per migliorare l’ope­ratività. Per la ricostruzione, stiamo effettuando un censimento delle scuole e degli edifici comunitari di­strutti e attraverso i sacerdoti e le Ca­ritas che operano nelle tendopoli, dei casi più gravi di indigenza di fa­miglie e anziani. Abbiamo già con­fermato la disponibilità a ricostrui­re scuole, centri di aggregazione del­le comunità, che sono strutture po­lifunzionali per finalità sociali, assi­stenziali, pastorali e culturali, a edificare una mensa per po­veri e un dormitorio. Sull’altro versante, realizzeremo opere di edilizia sociale e interventi per le fa­sce più vulnerabili quali anziani e fami­glie in difficoltà. Do­ve possibile, daremo commesse a imprese del territorio per stimolare l’economia. A che punto sono i gemellaggi? Sono avviati. I primi sono entrati nel vivo una settimana dopo il sisma. Prevedono la condivisione con le co­munità locali, grazie all’invio di o­peratori e volontari che, per un lun­go periodo svolgeranno opera di a­scolto e assistenza delle persone. Ab­biamo stretto un accordo con l’A­zione cattolica per coordinare insieme l’impegno dei circa 1.600 volontari che si alterneranno nel­l’area del disastro. Intese e sinergie so­no state sviluppate anche con le Acli e con la Pastorale gio­vanile. Abbiamo di­viso l’area colpita in 9 zone, gemellandole con le varie re­gioni ecclesiastiche. Ciascuno ha mandato sul posto gli operatori con il compito di fare da ponte tra i volontari e la comunità sfollata.
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