sabato 26 agosto 2017
Il segretario di Stato Vaticano sullo sgombero di Roma: la violenza non è accettabile da nessuna parte
Il cardinale Parolin al Meeting di Rimini (e visita lo stand di Avvenire)

Il cardinale Parolin al Meeting di Rimini (e visita lo stand di Avvenire)

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«Almeno noi». Due parole che danno la misura della distanza tra i cattolici e quanti coltivano la paura del migrante. Due parole che sigillano il discorso del cardinale Pietro Parolin al Meeting di Rimini, questa mattina. «Se penso che una parte non piccola del dibattito civile e politico si è concentrata su come difenderci dal migrante! - ha esclamato dopo aver spiegato la differenza tra la vita contemplativa e la fuga dal mondo -. Certo, per il potere politico è doveroso mettere a punto schemi alternativi a una migrazione massiccia e incontrollata… Ma non dimentichiamo, almeno noi, che queste donne, questi uomini, questi bambini sono in questo istante nostri fratelli. E questa parola traccia una divisione netta tra coloro che riconoscono Dio nei poveri e nei bisognosi e coloro che non lo riconoscono».

Poco prima, arrivando a Rimini, il segretario di Stato aveva spiegato ai giornalisti, riferendosi agli sgomberi di piazza Indipendenza, che «quelle immagini non possono che provocare sconcerto e dolore, soprattutto dalla violenza che si è manifestata. E la violenza non è accettabile da nessuna parte». Aggiungendo: «Da quello che ho visto e da quello che ho letto, ci sia la possibilità di fare le cose un po’ meglio, fare le cose bene, perché ci sono le regole. Adesso, per esempio, ho visto che ci sarà questo impegno a trovare per queste persone delle abitazioni alternative prima di arrivare a questi estremi. Io penso che se c’è buona volontà si
possono trovare le soluzioni senza arrivare a queste manifestazioni così spiacevoli».

Durante l’incontro con il popolo del Meeting, il porporato ha analizzato la paura che attanaglia tutti, anche i cristiani - «secondo una
divisione che è antropologicamente e teologicamente drammatica» - e ha sottolineato i meccanismi di interdipendenza globale che impediscono a un Paese di «portarsi a una altezza autosufficiente di fronte a un problema globale».

Questo vale anche per le diverse identità religiose, ha sottolineato, invocando una cultura del dialogo.

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