martedì 22 dicembre 2009
Nuova vittima a Salerno. Eguagliato il record negativo del 2001 «Siamo nel caos». Il centro studi Ristretti orizzonti: il sovraffollamento? Dipende dalla difficoltà di accesso alle misure alternative. Il sindacato di polizia: impossibile andare avanti.
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Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente e gravemente ammalato, si è tolto la vita venerdì scorso, impiccandosi nella sua cella nel carcere di Salerno. Con la sua morte, sale così a 69 il numero di reclusi che si sono uccisi in carcere nel corso del 2009. «Viene così eguagliato il triste "record" del 2001. Il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica», denuncia l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere.L’anno nero delle carceri italiane si avvia così verso una drammatica conclusione. «I morti – denuncia l’Osservatorio – sarebbero molti meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che provengono da realtà di emarginazione sociale». Il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 10% ha una malattia mentale, il 5% è sieropositivo, il 60% ha una qualche forma di epatite. «Negli anni Sessanta i suicidi in carcere erano tre volte meno frequenti di oggi -– prosegue il rapporto dell’Osservatorio – i tentativi di togliersi la vita addirittura 15 volte meno frequenti». E non certamente perché all’epoca i detenuti vivessero meglio.Nel corso del 2009 la popolazione carceraria è aumentata di 8mila unità, passando dai 58mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66mila che, verosimilmente, trascorreranno la prossima notte di San Silvestro in cella. Gli spazi però restano gli stessi, con il risultato che, in molte celle, si dorme a rotazione oppure estraendo alla bisogna una brandina pieghevole. Trentaquattro dei 204 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono «fuori legge» dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta.Ma l’aumento della popolazione detenuta (più 18mila unità dal 31 dicembre 2007 a oggi, ndr) non è dato tanto dall’aumento degli arresti, sostanzialmente invariati, «quanto dalla diminuzione delle uscite», spiega Francesco Morelli, del centro studi Ristretti Orizzonti del «Due Palazzi» di Padova. Leggi come la Cirielli, ad esempio, impediscono di accedere alle misure alternative. «Prima dell’indulto c’erano 60mila detenuti e 50mila condannati in misura alternativa. Oggi sono solo 12mila le persone che stanno scontando la pena in misura alternativa».Complessivamente, i ristretti sono 65.774, oltre 22.500 in più rispetto alla soglia regolamentare (circa 43 mila) e di poco superiore a quella tollerabile, di 64mila unità. «Tutto ciò – osserva Donato Capece, segretario del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria – si riassume con la parola "sovraffollamento". Per noi si tratta di condizioni di lavoro e di vita impossibili da sostenere». Senza contare che, su oltre 65mila detenuti, quasi il 50% (30.818 persone) è in attesa di giudizio. «All’inizio si diceva che era un dato determinato dall’indulto – ha commentato Francesco Cascini, magistrato e responsabile del servizio ispettivo del Dap –. Oggi i detenuti in attesa di giudizio sono 7mila in più rispetto a quelli che si trovavano in questa situazione prima del 2006. Ed è un fenomeno in aumento. Siamo di gran lunga il Paese europeo che ha il più alto numero di detenuti in attesa di giudizio». Una situazione resa ancora più grave dalla diminuzione delle risorse economiche: dai 13mila euro all’anno spesi nel 2007 per ogni detenuto per vitto, assistenza sanitaria e attività trattamentale (escluso il costo del personale, ndr) si è passati ai 6.383 del 2009. Diminuisce così anche la possibilità di lavorare all’interno delle carceri, come "scopini" o "porta-vitto", e di mettere da parte qualche soldo per acquistare le sigarette e persino generi di prima necessità. Al carcere della Dozza, a Bologna, i detenuti hanno chiesto in regalo penne, buste e francobolli, per poter scrivere a casa per le feste.
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