sabato 27 febbraio 2010
A Trieste, al congresso del Sidipe, sindacato dei dirigenti degli istituti di pena, la Fincantieri ha presentato il progetto per realizzare piattaforme attrezzate per la detenzione. Liguria, Puglia e Triveneto le probabili prime sedi dell’esperimento. Il costo? Novanta milioni di euro.
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«Non è certo questa la risposta definitiva al sovraffollamento, ma è senz’altro un rimedio». Enrico Sbriglia, segretario nazionale del Sidipe, il sindacato dei direttori delle carceri, non si fa illusioni. I penitenziari galleggianti serviranno «a trovare il tempo di realizzare nuovi istituti a terra».Davanti alla maggioranza dei dirigenti delle case di detenzione, riunitisi a Trieste per il loro congresso, Fincantieri ha finalmente svelato il progetto definitivo. Di sicuro non sarà una crociera: 320 celle di 16 metri quadri da dividere in due, per un totale di 640 detenuti. I progettisti assicurano di aver tenuto conto «delle esperienze positive e negative, in questo campo, di Gran Bretagna, Stati Uniti e Olanda», adoperando le più moderne tecnologie costruttive e abitative. Le moderne Alcatraz, ormeggiate in luoghi sicuri e protetti, avranno una lunghezza di 126 metri, una larghezza di 33 e un’altezza di quasi 35. «Dimensioni che possono essere espanse in virtù della modularità del progetto», pensato come una specie di gigantesco Lego che potrà di volta in volta essere potenziato o ridimensionato. «Lavoriamo sempre su input dell’armatore - ha chiarito Giorgio Arena, direttore commerciale di Fincantieri - e anche in questo caso abbiamo sviluppato il progetto in base alle particolari esigenze che un carcere presenta». Le aree accessorie per detenuti (aule didattiche, laboratori, officine) si dispongono su una superficie di 5mila metri quadri (molti di più delle carceri sulla terra ferma), ai quali si aggiungono gli spazi necessari per sale colloqui con annesso piazzale «così da consentire ai reclusi di fare quattro passi con i propri familiari», infermeria, centro polifunzionale e uffici. Il Sidipe, sindacato che rappresenta l’80% dei direttori delle carceri, si dice soddisfatto del piano elaborato su richiesta del governo. «Penso a un’integrazione e non a una sostituzione - spiega Sbriglia - come a un’ambulanza che non escluda la necessità dell’ospedale». Il riferimento è alla necessità di interventi su strutture stabili, a cominciare dalla riqualificazione delle caserme militari dismesse, che «a un punto di vista estetico sono senz’altro più accettabili degli orrendi contenitori che sono i penitenziari recentemente costruiti».Ma quanto costeranno queste nuove case di detenzione? Fincantieri tace, ma una cifra trapela: 90 milioni di euro. Poco al di sotto di quanto si spenderebbe per un’analoga casa circondariale in cemento armato, ma al contrario di queste con costi di manutenzione e tempi di messa in opera dimezzati. Il Governo, assicurano da Fincantieri, ha valutato favorevolmente l’intero progetto che avrebbe anche una seconda finalità: rilanciare la cantieristica italiana che certo non naviga con il vento in poppa.Secondo i progettisti la “chiatta” vanterebbe molteplici vantaggi: tempi di consegna ridotti e certi (24 mesi o meno), utilizzo di aree portuali dismesse o banchine inutilizzate, alta flessibilità operativa, dato che la piattaforma può essere spostata e riconvertita in aree di emergenza e di riconversione ad altri usi, «ad esempio per operazioni della Protezione Civile».Stando indiscrezioni sarebbero già state individuate alcune regioni che per prime potrebbero sperimentare i “penitenziari marini”: Liguria, Puglia e il tratto di Triveneto che si affaccia sull’Adriatico. «L’esperienza di altri Paesi - ha osservato Donato Capece, segretario del sindacato della polizia penitenziaria Sappe - ci dimostra che è una cosa fattibile, sicura, con tempi certi e costi bassi». Ad oggi sono recluse in Italia quasi 67mila persone, per una capienza che già ai livelli massimi si ferma a quota 40mila.Inizialmente le chiatte con le insegne del ministero della giustizia potrebbero essere due o tre. Ma superare le resistenze di quanti temono che in realtà si tratti di zattere malsane non sarà facile. «Anche se a livello sperimentale – insiste Capece -, è opportuno realizzare qualche istituto galleggiante. Attendere ancora vorrebbe dire perdere il controllo delle carceri, che stanno scoppiando e nelle quali ogni giorno si rischia la rivolta».
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