mercoledì 15 gennaio 2020
Il progetto della fotografa Natascia Aquilano e dalla onlus ProPositivi. Un laboratorio fotografico «formativo ed emotivo» di tre mesi seguito da sei madri con figli
(foto di Natascia Aquilano)

(foto di Natascia Aquilano)

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Tre mesi di incontri settimanali guidati da educatrici e da una fotografa professionista. Un workshop fotografico per imparare a esprimersi attraverso la fotografia, ma anche a conoscersi, a socializzare, a conquistare autostima e coscienza di sè, come madri e come donne, in un ambiente difficile come il carcere. La legge, com'è noto, consente alle detenute madri di vivere, accudire ed educare i figli fino al compimento del terzo anno di età. E la Casa circondariale femminile di Rebibbia ospita una decina di detenute con bambini piccoli, che possono fruire di camere, spazi comuni, cortili, giochi. Uno di questi spazi comunitari ha ospitato la mostra fotografica collettiva "Essere madre oltre la pena", traguardo conclusivo di un percorso educativo ideato dalla fotografa professionista Natascia Aquilano e realizzato assieme all'educatrice Luciana Mascia in collaborazione con l'associazione onlus ProPositivi, grazie alla disponibilità della direzione dell'istituto di pena.

La proposta ha suscitato grande interesse nella decina di detenute ospiti del femminile, che spesso passano sulla branda il tempo libero dall'accudimento dei bimbi. Otto le adesioni iniziali, anche se poi una detenuta si è ritirata e un'altra è stata trasferita. Le sei apprendiste fotografe hanno imparato i rudimenti dell'inquadratura, si sono esercitate su temi diversi, hanno creato situazioni fotografiche, nonostante gli spazi obbligati.

Il risultato finale è stata l'esposizione in carcere - che gli organizzatori sperano di poter portare fuori per far conoscere l'umanità che c'è oltre ai muri, i portoni e i fili spinati - che ha affiancato una decina di scatti di Natascia Aquilano ai 50 delle sei fotografe esordienti: Simona, Violeta, Josephine, Claudia, Patrizia, Sevala.

Significativa la differenza di approccio tra la fotografa professionista e le esordienti: negli scatti di Natascia Aquilano a essere protagoniste sono le sbarre, i cancelli, i muri. L'approccio fotografico delle detenute - che hanno usato macchine digitali raccolte dagli organizzatori grazie ad amici e parenti - invece ha annullato gli elementi reclusivi puntando sui volti, i giochi dei bambini, le relazioni tra le donne. Due sguardi diversi ma complementari.

«L'idea di raccontare fotograficamente la realtà delle madri del nido di Rebibbia - racconta la fotografa Natascia Aquilano - mi è venuta dopo la tragedia avvenuta nel 2018 a Rebbbia». Quel 18 settembre una detenuta con problemi di depressione gettò dalle scale i suoi due bambini.

«Non sapevo esistesse questo nido in carcere e ne rimasi scioccata. Per fotografare una realtà complessa ho bisogno di instaurare relazioni di fiducia con le persone. E allora pensai di portare la fotografia a Rebibbia non come fotografa, ma facendo diventare fotografe le detenute, madri la cui relazione coi figli in questo ambiente è comunque alterata»

All'inaugurazione della mostra sono intervenuti i Garanti dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, e di Roma, Gabriella Stramaccioni. «L'apertura ornai quarantennale degli istituti di pena al volontariato - spiega il garante Anastasia - è l'essenza della nostra idea della pena. Il mondo di fuori deve conoscere cosa c'è qui dentro. Perché la finalità della pena, che è la riabilitazione, non si può fare senza lo scambio tra dentro e fuori. Solo la conoscenza reciproca permette di superare tanti pregiudizi che impediscono di assolvere ai principi della Costituzione. Anche se ultimamente non è un'idea molto popolare».




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