I successi contro la mafia ci sono, la voglia di svelare misteri insoluti pure, ma i rapporti tra mondo politico e magistratura sono talmente logorati che basta una scintilla per dar fuoco alle polveri. E un assaggio c’è stato, ieri, all’interno dell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo, durante il convegno per ricordare il sacrificio del giudice Giovanni Falcone, ucciso 19 anni fa. Il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sollecitati dal giornalista Giovanni Minoli, rubano la scena con un acceso botta e risposta sulla riforma della giustizia. «Come si fa a dialogare con chi ti prende a schiaffi, con chi chiama i magistrati cancro da estirpare o antropologicamente diversi? - attacca Grasso -. Io contesto il titolo: non è la riforma della giustizia, ma la riforma del rapporto tra magistratura e politica». Ma Alfano assicura: «Lavoreremo sempre per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. La pietra angolare della nostra riforma sono la parità tra l’accusa e la difesa e la separazione delle carriere». Poi a sostegno della posizione del governo, Alfano legge un’intervista di Falcone relativa alla separazione delle carriere dei magistrati.A questo punto il procuratore Grasso replica: «Falcone voleva l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, però non si può pensare di dichiarare nella Costituzione il pm autonomo e indipendente e poi togliergli la direzione delle indagini». E avrebbe voluto dire la sua il procuratore di Termini Imerese, Alfredo Morvillo, cognato di Falcone, secondo cui quella intervista era data in un altro contesto storico, ma nessuno gli ha dato la parola e lui è andato via. Ma il 23 maggio, «occasione per onorare chi è morto per assicurare che la democrazia non fosse offesa» dice la sorella del magistrato ucciso, Maria Falcone, è anche il giorno in cui lo Stato illustra i risultati raggiunti nella lotta alla mafia e le nuove iniziative da mettere in campo per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata.Un’occasione che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, sfrutta a piene mani, con il protocollo di legalità firmato dalla Regione siciliana, Confindustria Sicilia e le Prefetture dell’isola, destinato a garantire sul territorio regionale un migliore controllo di legalità nei settori delle energie, delle fonti rinnovabili, delle acque e dei rifiuti. I settori maggiormente a rischio di infiltrazioni, secondo il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo. «Oggi si è scritto un altro capitolo nel libro importante delle azioni che abbiamo intrapreso per contrastare la mafia», afferma Maroni. «Venerdì - aggiunge - sarà portato in Consiglio dei ministri il nuovo codice antimafia, che prevede una sistematica raccolta e un rafforzamento delle norme che finora come ceneri e lapilli sono state disperse nell’ambito dell’ordinamento e sono venute fuori negli ultimi vent’anni». Ed entro fine giugno sarà inaugurata a Palermo la sede dell’agenzia per i beni confiscati. «Bisogna mettere le mani nel portafogli della mafia», è l’imperativo che tutti sottolineano. «Anche per dare un segnale forte - interviene il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello -. Oggi trecento imprenditori hanno denunciato i loro estorsori, mentre 35 sono stati espulsi da Confindustria, perché collusi».Intanto sul fronte delle indagini «sono emersi nuovi filoni grazie alle dichiarazioni del pentito Spatuzza. Stiamo indagando anche su questo, seppure con organico e risorse ai limiti del tollerabile», dichiara il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, rispondendo sull’apertura di una nuova inchiesta sull’esplosivo usato per uccidere Falcone. «A Caltanissetta indaghiamo su più fronti: dal fallito attentato dell’Addaura, a Capaci, a via D’Amelio. Lavoriamo alacremente e presto arriveranno i risultati». Durante la giornata sono arrivati i messaggi del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, del premier Silvio Berlusconi, dei presidenti del Senato, Renato Schifani, e della Camera, Gianfranco Fini. Ma il giorno della memoria è stato anche il giorno della polemica e dello «sfregio», con un raid vandalico messo a segno da una banda di teppisti in Piazza Magione il luogo dove nacque Giovanni Falcone. I giovani teppisti, cinque o sei in tutto, hanno danneggiato un pullman che era stato utilizzato dai ragazzi che hanno partecipato alla manifestazione antimafia. Oltre ad infrangere i finestrini i vandali hanno anche imbrattato la fiancata del bus con la scritta "viva la mafia".