giovedì 22 maggio 2014
A Pomezia chi vuole la merenda paga di più. A Vigevano alunni esclusi dal servizio se i genitori saltano un pagamento.
Scuola, mense in libertà di Massimo Calvi
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Volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno. O­ra si devono difendere sul dol­ce 'negato' ai bambini delle scuole. Infuria, infatti, nella politica nazio­nale e sui social network la polemica che riguarda l’amministrazione a Cin­que Stelle di Pomezia (Roma), che per le men­se  ha previsto un menù con e uno senza il dessert.  Il primo cittadino, Fabio Fucci, non ci sta a passare da 'ladro di merendine' (per citare un titolo di Andrea Camilleri) e dopo aver de­nunciato quella che secondo lui è una cam­pagna orchestrata a fini elettorali contro il M5S e aver spiegato come non si tratti di di­scriminazione, ha anche assicurato che il Co­mune si fa carico dei 40 centesimi del dolce per chi non ce la fa ad acquistarlo. Già perché di 40 centesimi si tratta. La differenza tra i due menù (4 euro e 4 euro e 40) che, dice il primo cittadino, sono stati inseriti in un capitolato del dicembre scorso, discusso in precedenza con i genitori stessi. La richiesta era stata di differenziare le quantità «e questo sì poteva essere discriminatorio», afferma Fucci. Poi si è arrivati a differenziare i menù, che - in realtà - sono identici per tutti a pranzo, mentre la merendina della contesa è rimandata al po­meriggio, quando i bambini possono consu­mare cibi anche portati da casa o farne a me­no, secondo l’indicazione dei genitori. Da un paio di giorni, però, le polemiche di­vampano non solo a livello locale (dove l’ex avversario alle amministrative, del Pd, con­testa le cifre e parla di menù da 3 e 5 euro), ma pure nazionale. È soprattutto il Pd a in­sorgere.  Dopo alcuni senatori, ieri è intervenuto anche il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che parla di «i­gnobile scelta». Il presidente dell’As­sociazione nazionale dei Comuni (An­ci), Piero Fassino, ritiene che «basta selezionare sulle tariffe, introdurre la selezione del dolce è ridicolo e umi­liante per i bambini». Il ministro del-­l’Istruzione, Stefania Giannini, dap­prima dice di non conoscere bene il caso e di essere per l’autonomia scolastica. «Non mi sembra una situazione di discriminazione», ha poi osservato. Criticata da Valeria Fedeli (Pd), vicepresidente del Senato. «La compe­tenza sui menù – ribatte – non è delle singo­le scuole, ma del Comune». A sera il ministro precisa di ritenere «iniquo» optare per menù differenziati. La prossima settimana sul tema ci sarà una riunione tra il Comune, le fami­glie e le scuole, fa sapere una vicepreside. La vicenda della cittadina alle porte di Roma (56 mila abitanti, di cui 7mila immigrati) ha dato alla onlus 'Save the Children' il destro per riproporre, a pochi giorni dall’inaugura­zione, la campagna 'Illumina il futuro', che vuole sensibilizzare alla «crescente povertà educativa fra bambini e adolescenti, stretta­mente correlata a quella economica». All’ini­ziativa sono legati un 'Monitoraggio dei ser­vizi di refezione scolastica', condotto su 36 Comuni, e una petizione al sindaco di Vige­vano, unica amministrazione tra quelle con­siderate dove un bambino può essere esclu­so dal servizio anche se i genitori non paga­no una sola retta (per morosità avviene, sia pure non subito, pure a Brescia, Adro, Croto­ne, Campobasso e Lecce). Certo, alcuni Co­muni prevedono esenzioni per situazioni di particolare svantaggio, come una sopravve­nuta disoccupazione (Genova, Cagliari e Ba­ri). Ma i criteri di accesso al servizio e per l’e­senzione, denuncia il dossier, non sono per nulla omogenei. Le tariffe minime mensili, poi, variano dai 5 euro di Napoli ai 7 di Saler­no, ai 66 di Brescia, i 72 di Vigevano, fino ai 90 di Ancona. La richiesta di 'Save the children' è di fare della mensa un diritto di base ga­rantito a tutti.
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