giovedì 4 aprile 2019
Avanza la ricostruzione privata, mentre quella pubblica procede più a rilento. Il ruolo-chiave della Chiesa che, attraverso Caritas, ha realizzato 48 centri di comunità
Cantieri aperti 10 anni dopo: L'Aquila rinata soltanto a metà
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Dieci anni fa tremò tutta l’Italia. Non solo per l’interminabile scossa che alle 3.32 del 6 aprile svegliò le persone anche a decine di chilometri dall’Abruzzo. Dieci anni fa tremò l’intero Paese, da subito incollato alla tv per le prime immagini che arrivavano dall’Aquila con i suoi palazzi sbriciolati, per il terrore di vedere cosa fosse rimasto dietro la polvere che avvolgeva la città, la speranza dei primi estratti dalle macerie, il dolore per chi non ce l’aveva fatta. Negli occhi la paura di dover immaginare la dimensione delle conseguenze del terremoto di 5.8 della scala Richter (con magnitudo momento di 6.3), che causò 309 morti, 1.600 feriti, quasi 80mila sfollati nella prima ora e danni per 10 miliardi di euro solo in provincia dell’Aquila, senza contare i 56 Comuni del cratere sismico.

Oggi L’Aquila è una città risorta solo per metà. Mentre infatti la ricostruzione privata è ormai in dirittura d’arrivo, con quasi i due terzi delle case ricostruite e la parola fine che potrebbe essere messa già tra quattro anni, diversa è la situazione della ricostruzione pubblica ferma a metà del guado. Come pure quella delle frazioni dell’Aquila, a partire dalla tristemente nota Onna che dieci anni fa fu epicentro del terremoto, e dei Comuni del cratere. Un percorso complesso che purtroppo è andato rallentando negli anni, anche se era partito subito dopo la tragedia con le migliori intenzioni.

La macchina dell’emergenza infatti si attivò subito con l’allestimento di 176 tendopoli e di una lunga lista di strutture ricettive sulla costa abruzzese che aprirono le porte per ospitare chi era rimasto senza casa. In molti però, proprio per non lasciare il territorio, scelsero di rimanere alcuni mesi in tenda in attesa che, a partire da settembre 2009, venissero consegnati in periferia dell’Aquila i 19 villaggi del Progetto Case (4300 alloggi antisismici costati oltre 700 milioni di euro) e 1200 Map (moduli abitativi provvisori) nelle frazioni e nei comuni del cratere. Molte polemiche, con annesse inchieste al seguito, suscitarono sia i palazzi ecatombe che le soluzioni abitative scelte dall’allora governo Berlusconi, anche per il fatto che nel 2014 crollò uno dei balconi di una palazzina a Cese di Preturo (seguito da altri tre cedimenti), oltre che per qualche caso di infiltrazioni d’acqua in alcune palazzine a Roio.

Sta di fatto che, al netto dei problemi, la popolazione aquilana prima dell’inverno successivo aveva un tetto sulla testa. Molta parte della ricostruzione la si deve alla solidarietà e al lavoro di tante associazioni di volontariato. In primis la Chiesa italiana che attraverso la Caritas negli anni ha realizzato oltre quarantotto centri di comunità nel cratere, grazie alla generosità delle diocesi italiane e alla Colletta nazionale che ha raggiunto 27 milioni di euro a cui sono stati aggiunti altri 5 milioni donati dalla Cei. Con il passare dei mesi, però, le promesse roboanti di ricostruire tutto in cinque anni si sono scontrate con i problemi reali legati all’impianto legislativo, alla burocrazia imposta dal percorso di ricostruzione e a lacci e lacciuoli che hanno portato a rallentare, se non a bloccare del tutto in certi casi, la rinascita della città.

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