giovedì 16 gennaio 2014
​Il fondatore del Sermig attacca la decisione del consiglio comunale di Torino di approvare una mozione a favore della liberalizzazione della cannabis. «Non esistono droghe innocue. Certe posizioni vanno nella direzione sbagliata. I giovani non hanno bisogno di scorciatoie. La politica dovrebbe avere altre priorità»
 Proposta in consiglio comunale anche a Milano
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«Droga? No grazie. Legale o illegale. Non esistono droghe innocue». Così Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, arsenale della pace, attacca la decisione del consiglio comunale di Torino di approvare una mozione a favore della legalizzazione della produzione e vendita della marijuana.  «Certe prese di posizione - scrive Olivero in un comunicato - come quella del consiglio comunale di Torino, vanno nella direzione sbagliata. Siamo in tanti a dire no alla droga, ma il ragionamento varrebbe anche se fossimo una piccola minoranza. La politica dovrebbe avere altre priorità, altri interessi, un'altra visione». Ed ancora: «i giovani non hanno bisogno di scivoli e di scorciatoie, ma solo di una cosa: devono sentirsi amati perdutamente E chi li ama li sprona, senza trucchi e sostanze. I giovani devono sentire che l'autorità morale dello Stato elimina lo scandalo dello spaccio sotto casa e davanti alle scuole». «Quando incontro i giovani, non uso le mezze misure - si legge nel comunicato -. Lo dico sempre: "Chi si spinella e si droga, è irresponsabile due volte". Irresponsabile anzitutto perché senza accorgersene uccide la sua sicurezza, il suo credere in sé, la sua capacità di resistere alle debolezze umane suggerite dagli stereotipi di moda. Irresponsabile poi perché alimenta un mercato criminale e diventa amico delle mafie. I giovani quando sentono un messaggio di questo tipo fanno silenzio e si emozionano. Ogni dipendenza, come fumo, alcool, gioco… impoverisce sempre la persona e arricchisce sempre un sistema. Da più parti viene detto che con la droga in fondo si può convivere. Si parla di riduzione del danno. Quindi si riconosce che il danno c’è».
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