venerdì 24 ottobre 2008

Ore di angoscia tra i volontari al lavoro a Capoterra. Obiettivo: abbassare il livello del bacino costruito per l'irrigazione dei campi

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Il Rio San Girolamo non si è arreso. Scorre ancora impetuoso dalle alture di Bacchiali, e si è colorato di rosso come l'argilla della terra. Ha travolto tutto quello che ha incontrato. Si è portato appresso le cose e gli animali. La carcassa di un cavallo giace sulla siepe di una delle casette del quartiere San Girolamo, e la gente è sicura di non averlo mai visto qui. E si è preso anche vite umane. Giunto più a valle, proprio sotto la diga, leziosamente chiamata il Laghetto di Poggio dei Pini, che risale a una cinquantina di anni fa, pare che si acquieti, prima di finire in mare, ormai pago di tanta distruzione. Qui forma una piccola conca, dove i sommozzatori dei carabinieri hanno fatto numerose immersioni alla ricerca di altri corpi. Per fortuna, non ne hanno trovati e, quando risalgono in superficie, per prima cosa, fanno un segno tranquillizzante a chi sta sui lastroni della riva ad aspettare. Ma i dispersi a Capoterra sono ancora quattro. Franco Macis è venuto a vedere. Lui abita in paese. Quando si è accorto che una massa d'acqua spingeva sul muro posteriore della casa del vicino è corso ad avvertirlo correndo sotto la pioggia sferzante: «Fuggite " ha gridato " se il muro crolla, morirete tutti». Adesso se ne sta con Roberto Garau, il vicino, e osserva i lastroni di roccia ai piedi della diga. Sono quelli scampati al cemento, quando tutto intorno sono state costruite le case. «Quando ero ragazzo " dice con l'amarezza della nostalgia " era tutto così». Scuote la testa e si allontana. Il paese, che è tutto un saliscendi, non è rimasto intatto. Tanta pioggia non l'avevano vista dal 1999. Anche allora i danni furono tanti, e morì una persona. Ma questa volta dal cielo scendevano veri torrenti: 250 millilitri d'acqua in tre ore. Tutte le strade, così, sono diventate fiumiciattoli, e all'acqua scesa dal cielo si è aggiunta quella del Rio Santa Lucia che il letto non è più riuscito a contenere. Tutta l'acqua è finita a valle, tra le case di Poggio dei Pini, che paiono ricche villette, ma sono in realtà case semplici di semplice gente. E l'acqua ha distrutto tutto, trasformando la spianata in un mare di melma, in una poltiglia di piccole cose quotidiane e di ricordi. Rio San Girolamo pare non faccia più paura, se le nuvole scure che ogni tanto ieri si affacciavano sui monti che racchiudono il paese, non porteranno altra acqua. Adesso si guarda con angoscia verso il Laghetto che fu costruito mezzo secolo fa da un'azienda agricola per l'irrigazione delle sue tenute. Poi, cessata l'attività, è diventato luogo ameno per escursioni e passeggiate di quanti sono andati ad abitare nei lotti costruiti a Poggio dei Pini. Qualcuno ci pesca trote e tinche. Ci sono anche cinque cigni, comprati da un notabile del luogo, che ancora ieri scivolavano tranquillamente sulle sue acque, ignari di quanto fosse accaduto. Adesso, nuotano su 250 mila metri cubi di acqua. Troppa, per quest'invaso che, dice Gian Battista Novella, uno dei responsabili del Genio Civile, qui con il compito di svuotarlo, «non è in buone condizioni». Per tutta la giornata di ieri, potenti idrovore hanno risucchiato il lago, ed è parso scendere anche il livello della tensione tra la gente che si è rimboccata le maniche e si è messa a svuotare la propria casa dal fango che l'ha invasa. C'è gente che spala davanti a un villino, ma non abita qui: sono parenti o semplici conoscenti venuti a dare una mano. Pare che non ci sia tempo per disperarsi. Oppure lo faranno a freddo, quando si saranno asciugati il fango e le lacrime sul volto. «Guardi, guardi la nostra casa dov'è!», dice una donna indicando una casetta bassa con il cancello divelto e affogata nel fango. Dal giardinetto, dove non ci sono più fiori e piante, sbucano dei ragazzi armati di secchi e di badili. Paola Vanni sta con le due figlie, Piera e Antonella, e non sa da dove cominciare. Indica una catasta di sacchetti di plastica, di quelli neri per i rifiuti. «Là dentro - dice indicandoli - ci sono i libri di medicina e di ingegneria delle mie ragazze! Chi me li ripaga?». Una busta ha ceduto, cascano dei libri: il sapere è spalmato di fango, e la ragazza li prende in mano. Poi mostra questa sua Firenze familiare in formato sedicesimo. Anche la sua vicina sta cercando di salvare almeno i ricordi. Lei ha visto l'onda aggredire la casa. Era per strada. Portando la mano alla vita, dice : «L'acqua mi arrivava fin qui. Mi ha salvato l'autista di un pulmann che ha intuito il pericolo ed ha aperto la portiera facendomi salire». In un'altra casa, invece, un ragazzo spala disperatamente nel garage. Vuole tirare fuori un'auto a cui deve tenere tanto. Si intravede solo un pezzo di targa. Sua madre e le sorelle fanno altrettanto nella casa. Il livello dell'acqua è arrivato fino al piano rialzato e lo ha invaso. Giuseppina Tramonte era in casa: «Sentivo la pioggia che cadeva ed ero inebetita. Sarei morta, se mia figlia non mi avesse trascinato fuori». Poi da una scala a pioli sono saliti sul tetto basso. È sudata. I capelli sono impastati di fango. Sembrano di creta. Si asciuga la fronte. Col dorso della mano disegna una striscia scura sulla faccia. Poi riprende a spalare.
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