sabato 21 luglio 2012
L’Associazione italiana medici per l’ambiente: un modo avanzato per risolvere il problema esiste. Perché non viene utilizzato? E critica: 5.327 le infrazioni annue, 28 gli agenti del Noe a disposizione.​
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Un disastro ambientale, il più grande e il più negato: è la Campania nella definizione lucida e documentata dei medici dell’Associazione italiana medici per l’ambiente Isde - International Society of Doctors for the Environment - affiliata alla Federazione Ordine dei Medici. «Una catastrofe dovuta ai rifiuti industriali e tossici smaltiti insieme ai rifiuti urbani» afferma in un comunicato il direttivo dei Medici per l’Ambiente, che ringrazia il ministro Corrado Clini per aver annunciato un pronto interessamento per la situazione della Campania e «per la dichiarata volontà di intervento», ma prende una dura posizione contro la sottovalutazione del danno da parte dello stesso Stato e contro l’irresponsabilità degli enti locali.L’Isde individua precise responsabilità istituzionali, a cominciare dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania e dall’Osservatorio regionale epidemiologico, e chiede perciò le dimissioni dei dirigenti dei due enti che a quanto pare fanno parte della schiera dei cosiddetti “negazionisti” di coloro cioè che non vedono la correlazione tra gli sversamenti di rifiuti tossico-nocivi e l’aumento dei tumori in Campania e nelle province di Napoli e di Caserta in particolare. Per Renato Pizzuti, dell’Osservatorio epidemiologico della Regione Campania, ad esempio, «resta difficile stabile una connessione diretta tra tumori e rifiuti».Il problema reale sono, secondo l’Isde, i rifiuti industriali il cui flusso, denunciano, non è al momento controllabile: raccolta e smaltimento sono una preoccupazione, se così si può dire, demandata ai privati. Il controllo dei flussi dei rifiuti industriali sul territorio nazionale è invece competenza dello Stato: questo cioè deve accertare da dove provengono, dove vanno a finire, come sono smaltiti. Non è quindi un problema esclusivo della Campania, anche se questa sembra essere uno degli approdi finali. Quindi i medici Isde chiedono al Governo quali azioni «concrete e immediate intende fare per tracciare in modo satellitare i flussi delle migliaia di tonnellate di rifiuti speciali che ogni anno vengo importati legalmente in Campania e di norma smaltiti illegalmente insieme ai rifiuti solidi urbani».La tracciabilità dei flussi dei rifiuti speciali, che rappresenta oggi l’aspetto più delicato da considerare per tentare di debellare il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti tossici, dovrebbe essere affidata non ad una modalità cartacea – facilmente falsificabile e oggi in uso – quanto, finalmente, all’introduzione del sistema integrato denominato Sistri, ossia il sistema digitale per il controllo e la tracciabilità dei rifiuti ai fini della prevenzione e repressione dei fenomeni di criminalità. Il condizionale è d’obbligo dal momento che il sistema Sistri non solo non è attivo, ma su di esso è calato il segreto di Stato, il che farebbe pensare a un problema riguardante la sicurezza nazionale e forse addirittura a un traffico di scorie nucleari sul territorio nazionale e quindi anche campano.La gravissima situazione ambientale e sanitaria in cui da troppo tempo si trovano immersi la Campania e i suoi abitanti è monitorata dall’Isde insieme ad altre associazioni. «Con una legge regionale del 2003 la Regione Campania ha deliberato che i funzionari tecnici dell’Arpac non hanno potere di polizia giudiziaria come invece le altre regioni» denuncia il tossicologo Antonio Marfella, portavoce Isde. Secondo l’ultimo rapporto di Legambiente, in Campania si registra il maggior numero di reati ambientali: 5.327 infrazioni all’anno. «Per le indagini e gli interventi in questi particolari reati il Noe in Campania ha a disposizione 28 carabinieri. Un numero chiaramente insufficiente» chiosa Marfella, che sottolinea come sia essenziale il biomonitoraggio tossicologico per le esposizioni da diossina. Anche in questo caso la Campania è carente. Nel 2008 proprio i vigili del fuoco di Napoli e Caserta, a contatto con 5mila roghi tossici all’anno, hanno chiesto, inutilmente, di essere sottoposti al biomonitoraggio individuale, tra l’altro dovuto per legge. «Un tale tipo di biomonitoraggio – osserva Marfella – risponderebbe alle ormai esplicite domande di comprensione della entità del danno ambientale e della ricerca del nesso di causalità in lavoratori esposti quotidianamente a grave rischio professionale, ma forniti di dispositivi di protezione individuale. Protezione che i circa tre milioni di cittadini esposti a Napoli e Caserta nemmeno hanno».​
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