sabato 31 ottobre 2009
All'indomani della bocciatura di Blair alla presidenza permanente, Berlusconi apre all'ex premier per l'alta carica dell'Uniona. L'esponente democratico. «Onorato della candidatura, anche se altri nomi hanno più possibilità. Ringrazio Palazzo Chigi». Si decide a metà novembre con un Consiglio straordinario.
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    Nei trattati europei – dice Massimo D’Alema – non c’è scritto che ci si può autocandidare a ministro degli Esteri dell’Unione europea. Dovranno decidere i capi di Stato e di governo. Vedremo. Tuttavia sono grato al governo italiano per aver detto che, in caso di candidatura, ci sarà sostegno, non opposizione». Risponde Palazzo Chigi: «Qualora emergesse in concreto la possibilità per l’Italia di ottenere l’assegnazione di una di quelle cariche, il governo valuterà con serietà e responsabilità le candidature capaci di assicurare all’Italia un incarico di così alto prestigio». Aggiunge da Bruxelles il ministro Frattini (Berlusconi era forzatamente assente e Frattini ha incassato l’accoglimento delle richieste italiane in materia di immigrazione): «L’Italia giocherà la sua partita istituzionale e valuterà tutti i nomi che saranno presentati, dal primo all’ultimo. Non è questione – dice – di appartenenze politiche, di esponenti dell’opposizione o della maggioranza: l’Italia è sempre orgogliosa quando un italiano viene preso in considerazione per una carica importante».Decisiva, in tarda mattinata, deve essere stata una telefonata dell’ex premier al sottosegretario Gianni Letta per sondare l’atteggiamento del governo: una risposta consegnata al comunicato di Palazzo Chigi. Avreste mai immaginato che dal cilindro dell’Unione europea spuntasse il baffo di Massimo D’Alema? Forse no, ma nella partita che si sta cominciando a giocare per l’assegnazione della carica di presidente dell’Unione e di Alto rappresentante per la politica estera c’è posto per le sorprese più estreme. Il nome del presidente della Fondazione ItalianiEuropei comincia a serpeggiare nel retrobottega della diplomazia europea fin dal pomeriggio di giovedì. Il Pse, la seconda grande famiglia politica dell’Europarlamento, ha appena bocciato il confratello Tony Blair alla candidatura per la presidenza, ma in cambio chiede il posto di Mister Pesc, ovvero il virtuale ministro degli Esteri dell’Europa che partirà con l’attuazione del Trattato di Lisbona. Nomi altisonanti ce ne sono, come quello di Felipe Gonzales, che gli spagnoli reclamano come continuità alla rinuncia di Javier Solana. E non per niente D’Alema per primo si schermisce: «Ho appreso che i leader progressisti hanno raggiunto un accordo sul fatto che il responsabile della politica estera europea e vicepresidente della Commissione sarà espressione del Partito socialista europeo e dei progressisti democratici. Mi hanno indicato tra i possibili candidati. Sono onorato di questo fatto. So che ci sono altri candidati più forti di me. Non ritengo di avere molte possibilità ma il fatto di essere inserito in questa short-list mi onora». Dall’Italia giunge il plauso di Pierferdinando Casini («Il governo italiano ha un’occasione irripetibile per dimostrare che l’Italia e l’italianità vengono sempre e comunque prima di tutto e in particolare prima delle dispute politiche interne») e quello del ministro Maroni («Vedo con favore la sua candidatura»), insieme allo sbuffo polemico del viceministro Castelli («D’Alema a braccetto con i terroristi di Hezbollah è la rappresentazione plastica del tragico destino che si preparerebbe per l’Eurabia»). Sarà dunque un Consiglio europeo straordinario a decidere entro novembre a chi andranno le due cariche di primo presidente permanente della Ue e di ministro degli Esteri. E la battaglia, quella alla luce del sole e quella sotto traccia, è appena iniziata.
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