venerdì 11 novembre 2011
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​Governo tecnico? Giammai. La Lega nord si ricompatta tutta sotto le insegne di guerra, annunciando all’unisono – da Calderoli a Maroni – che in caso di esecutivo Monti uscirà dalla maggioranza sbattendo la porta. Anche a costo di rompere l’ormai quindicennale sodalizio Bossi-Berlusconi? Il senatur, di questa rottura, non è convinto: «Non c’entra nulla». E quanto alla alleanza Lega-Pdl borbotta: «Le elezioni sono lontane». Però sul resto, ovvero l’appoggio a un eventuale governo tecnico, la dice chiara: «Non possiamo dare una fiducia a priori: non c’è per ora alcun programma», dice Umberto Bossi, aggiungendo: «È meglio stare fuori, da dove si controlla meglio, contrattando di volta in volta». Molto meno, afferma, «di un appoggio esterno». Quanto al Cavaliere, «non l’ho sentito. Eppoi parla per sè». Il ministro dell’Interno Roberto Maroni (corteggiato da molte parti perché rimanga al Viminale nella nuova compagine governativa) parla con accenti piuttosto netti: «Se il presidente della Repubblica Napolitano darà l’incarico di formare il governo a qualcuno, come Mario Monti, che non fa parte della maggioranza uscita vittoriosa dalle elezioni del 2008, la Lega non lo sosterrà e passerà all’opposizione». Roberto Calderoli, il sanguigno inventore dell’attuale sistema elettorale e del suo nomignolo "porcellum", ci aggiunge al solito del suo: «Se sono vere le indiscrezioni sulla composizione del nuovo governo, a Palazzo Chigi sta arrivando la Banda Bassotti». Il ministro della Semplificazione spiega: sta per nascere «un esecutivo politico e non certamente tecnico, un esecutivo di evidente connotazione ribaltonistica, che cancellerebbe in un colpo il bipolarismo, la politica e la democrazia che, con la scusa del bene del Paese e della tutela dei conti pubblici». La campagna elettorale dei leghisti  è già aperta. Uno degli slogan lo conia proprio Calderoli: «Si vogliono sostituire gli eletti con i poteri della finanza, quegli stessi poteri che hanno rovinato le famiglie, le imprese e gli stessi conti pubblici». Maroni è più gentile nelle forme ma non nella sostanza: «Monti? È nato a Varese e ho grande stima di lui, ma la posizione della Lega è molto chiara: la decisione di chi governa va lasciata ai cittadini se la coalizione del 2008 non è in grado di proseguire, specie in un momento come questo. Credo sia il modo migliore per rispettare i dettami della Costituzione». E poi, con toni decisi: «La Lega voterà a favore del maxi emendamento alla legge di stabilità, che sarà l’ultimo atto di questo governo e di questa maggioranza». Dicono che il ministro dell’Interno sia pronto a trasferirsi dal Viminale a Montecitorio, dove prenderebbe il posto di capogruppo, pronto a capeggiare le camicie verdi nelle battaglie parlamentari. Evidentemente, in un partito di lotta e di governo come è la Lega, dopo tanto governo c’era bisogno di lotta. È da mesi che la irrequieta base leghista, che si sfoga su Radiopadania, dice di essere stufa di ingoiare rospi (dal caso Ruby, al voto a favore del ministro Romano e di Milanese) e che reclama libertà dall’abbraccio con Berlusconi. Bossi ieri non ha parlato, ma è solo dell’altro ieri l’auspicio liberatorio: «Che bello andare all’opposizione».E si capisce: il partito si stava spaccando tra maroniani e fedelissimi di Bossi, la base mormorava e i luogotenenti come il sindaco di Verona Tosi scalpitavano; e  se i lumbard fossero rimasti al governo, il rispetto dei patti europei prima o poi avrebbe dovuto comportare l’apertura del capitolo pensioni e altre misure lacrime e sangue. La Padania di ieri titolava significativamente: «No a un governo truffa. Bossi: pronti all’opposizione». E molto più significativo il sommario sotto al titolo: «Aumenterebbero le tasse, toccherebbero le pensioni di anzianità. Il senatur: se sono così fessi, ci rifacciamo la verginità politica».
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