giovedì 18 ottobre 2018
Il procuratore aggiunto della Dda di Bari parla della criminalità organizzata in Puglia e della cultura diffusa di non collaborazione
I carabinieri sul luogo dell’agguato avvenuto nei pressi di San Marco in Lamis, nel Foggiano, il 9 agosto dello scorso anno. Fu una strage di mafia in cui morirono quattro persone, tra cui due testimoni innocenti (Ansa)

I carabinieri sul luogo dell’agguato avvenuto nei pressi di San Marco in Lamis, nel Foggiano, il 9 agosto dello scorso anno. Fu una strage di mafia in cui morirono quattro persone, tra cui due testimoni innocenti (Ansa)

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È a una svolta l’inchiesta sulla faida del Gargano che il 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis (Foggia) costò la vita a due innocenti agricoltori, testimoni involontari di un agguato di mafia in cui vennero uccisi due pregiudicati. Ieri è finito in carcere uno dei presunti responsabili della strage nella quale i sicari, dopo avere ucciso il boss Mario Luciano Romito, e suo cognato Matteo De Palma, inseguirono e trucidarono i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, che erano lì per caso. L’arrestato, Giovanni Caterino, è accusato di concorso in omicidio premeditato pluriaggravato dal metodo mafioso, detenzione e porto di armi. Non sarebbe stato lui a sparare, ma secondo i magistrati della Dda di Bari, avrebbe pedinato per giorni il boss conducendo i killer sul luogo dell’agguato. Caterino era al volante di un’auto e inseguiva la vettura con a bordo il boss Romito, facendo da apripista alla macchina del commando. Almeno tre le persone che, con fucile, kalashnikov e pistola, ammazzarono il boss, il cognato che gli faceva da autista e i due testimoni innocenti.

Prima di fuggire, i tre sicari spararono «colpi devastanti al capo» del boss, «con modalità – scrive il gip nell’ordinanza – chiaramente evocative» di quelle mafiose, per «mostrare platealmente la ferocia e la forza del gruppo di fuoco, sì da intimorire la popolazione del luogo». «Stiamo uccidendo le persone innocenti per fare il piacere a questi bastardi» avrebbe confidato Caterino a conoscenti, secondo una delle migliaia di conversazioni intercettate.
Quando mercoledì i carabinieri sono andati dalle vedove dei fratelli Luciani per comunicare l’arresto «si sono vissuti momenti di commozione» ha detto il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, spiegando che «le indagini sono tuttora in corso su altri soggetti, già individuati». È stato inoltre accertato il coinvolgimento nell'agguato di un pluripregiudicato di Manfredonia, Saverio Tucci, ucciso ad Amsterdam nel 2017. A raccontarlo agli inquirenti è stato il suo killer, reo confesso e ora “pentito”, Carlo Magno. Una scia di sangue che non si sarebbe fermata, perché lo stesso Caterino sfuggito a un agguato a febbraio, stava pianificando una vendetta, consegnando in custodia le armi necessarie a Luigi Palena, anche lui arrestato mercoledì.

«Qualche piccola crepa si sta insinuando nel muro rocciosissimo di omertà che caratterizza questo territorio, una cultura diffusa di non collaborazione con le istituzioni. Il fatto che ci sia stato qualcuno che ci ha dato delle informazioni, uno che ha cominciato a collaborare con la giustizia sono segnali di novità rispetto a un passato estremamente negativo». È l’importante riflessione di Francesco Giannella, procuratore aggiunto e coordinatore della Dda di Bari. Che però avverte. «La collaborazione della gente è ancora poca. C’è una cultura della resistenza e in alcuni casi di ostilità verso le istituzioni. Ci sono ampi settori della popolazione che non ha voglia di schierarsi dalla parte della giustizia per motivi storici, culturali, che non spetta a me analizzare, però è così ». Eppure anche questa inchiesta ha confermato che la criminalità organizzata foggiana è vera mafia. «È davvero allucinante continuare a negare e qualcuno ancora lo fa probabilmente perché gli fa comodo farlo».

Come siete riusciti a raggiungere questo risultato così rapidamente?
L’inchiesta è stata sicuramente molto rapida ma non è assolutamente finita. Oltre alle collaborazioni che hanno cominciato a scalfire l’omertà, è stata importantissima la cooperazione internazionale. Altrettanto il lavoro scientifico, l’avanzatissima tecnologia degli strumenti investigativi. È stato lo specifico lavoro del reparto crimini violenti del Ros dei carabinieri che si occupa solo dei casi più eclatanti e terribili. Ma è stato importante anche l’intuito degli investigatori che sanno muoversi sul territorio.

Dall’inchiesta emerge con chiarezza quello che voi dite da tempo, che le mafie foggiane sono vere mafie, con grandi interessi.

Questo è un dato acquisito da alcuni anni, sono tante le sentenze che hanno certificato la natura mafiosa di questi gruppi criminali. Questo è un dato che culturalmente, storicamente, criminologicamente è acquisito.

La vostra inchiesta conferma che i fratelli Luciani sono state vittime innocenti?
È certo, se poi sono stati uccisi perchè possibili testimoni oppure perchè scambiati per altri, ancora non lo sappiamo.

Comunque questa inchiesta comincia a dare giustizia anche a loro e ai familiari.
Per noi è stato proprio per questo un impegno ancor più forte. Quando il 9 agosto di quest’anno ho partecipato alla manifestazione sul luogo del delitto, ho conosciuto personalmente le due vedove e gli altri familiari, ho vissuto un momento di enorme emozione perché ho visto la straordinaria dignità di queste persone, ho sentito l’affidamento nei confronti delle forze dell’ordine e della magistratura, l’ho percepito sulla mia pelle e sono tornato molto scosso. Sapevo già quel giorno che eravamo sulla strada buona, non potevo naturalmente aprire bocca ma avrei tanto voluto dirglielo. Non siamo solo dei professionisti della giustizia, siamo innanzitutto degli uomini e quindi veniamo toccati da queste vicende. È chiaro che le forze si sono moltiplicate ma non deve succedere che l’impegno dello Stato si concretizzi solo quando ci sono delle vittime innocenti.

Dopo quell’omicidio c’è stato un rafforzamento del contrasto nel Foggiano, più uomini e mezzi. Basta?

L’impegno che è stato messo in campo soprattutto quando intervenne il ministro Minniti, è stato eccezionale. Nel giro di poco tempo il territorio è stato inondato di forze dell’ordine non solo con la misura di facciata delle camionette o dell’esercito per strada, ma con uomini capaci, professionalmente all’avanguardia, che è quello che serve. Abbiamo avuto una risposta perfetta dello Stato centrale.

E allora cosa manca?

La collaborazione della gente, che è ancora poca. Difficilmente abbiamo testimoni ocu-lari, o chi denuncia. Qualcosa è cambiato negli ultimi tempi ma non abbastanza. Qualche imprenditore comincia a denunciare ma è importante che si creino delle reti che facciano sentire non isolate le persone che hanno voglia di collaborare. Un sistema mafioso, ma anche della corruzione, non si combatte in maniera isolata. Bisogna combatterlo proponendo un altro sistema, quello della legalità che veda assieme istituzioni, magistratura, forze dell’ordine, associazioni che siano accanto a queste persone che hanno deciso di schierarsi.

La vostra inchiesta dovrebbe convincere che fate sul serio.
Non ci deve più essere l’ipocrisia di chi si aspetta che la giustizia sia solo compito delle istituzioni. La giustizia è una cosa che uno deve volere, ma per la quale essere protagonista.

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