giovedì 26 maggio 2011
Le grandi questioni sulla vita umana hanno preso posto stabilmente nel menù informativo degli italiani. Che possono contare su «è vita», oggi al traguardo dei 300 numeri.
- Il nocciolo incandescente di Francesco Ognibene
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S>ei anni di viaggio alla scoperta del continente pressoché ignoto della bioetica. Sei anni e 300 numeri di è vita, che dal febbraio 2005 per 300 volte ha cercato di documentare la rivoluzione della biomedicina e le grandi questioni etiche sui confini della vita umana. Ma è tutto il panorama dei mass media italiani che in questi anni ha dovuto fare i conti con la bioetica, non sempre superando l’esame. Ne ragioniamo insieme a Giuliano De Marco autore del recente La bioetica in redazione (Cantagalli, 1006 pagine, 26 euro).Come nasce l’informazione bioetica in Italia?Ho scelto di analizzare la stampa italiana a partire dal ’96, perché quell’anno Il Sole 24 Ore pubblica il manifesto di bioetica laica, firmato da Flamini, Massarenti, Mori e Petroni. La tesi è che la bioetica è laica e non può non esserlo per sua stessa costituzione. A questo rispondono Fiori, Pessina, Sgreccia e Spagnolo la settimana successiva prendendo atto dell’esistenza di una sedicente bioetica laica che sarebbe in contrasto con quella religiosa e contestando la riduzione del confronto in base a uno schematismo ideologico per cui tutto ciò che non rientra nel criterio laico va collocato in quello religioso e quindi in una sfera giudicata non razionale. Questo dibattito è ancora attuale e tutto il dibattito bioetico successivo corre su questi due binari. L’altro grande fatto del ’96 è la pronuncia del Comitato nazionale per la bioetica sullo statuto antropologico dell’embrione umano. E com’è l’informazione su questo terreno oggi?Ho analizzato diversi casi che dimostrano la necessità di partire dai problemi reali e dai fatti che la scienza ci sottopone. Ad esempio, su Eluana si è detto che era «diversamente viva», come l’ha definita Luisella Battaglia, o una «morta vivente», come ha detto Umberto Veronesi. Ma queste definizioni non hanno alcuna base scientifica. In generale, la stampa dà sempre maggiore spazio alla bioetica. Alcuni giornali hanno aperto rubriche apposite, anche se la maggior parte se ne occupa solo di fronte al "caso" politico. La grande stampa ne parla sistematicamente ma a tratti, solo quando un avvenimento acquista rilevanza pubblica. Le vicende di Coscioni, Welby ed Eluana ne sono un esempio.In che senso?Ad esempio, una notizia scientifica esce dal segmento specialistico quando c’è una sentenza del tribunale, quando la giurisprudenza affronta l’argomento: questo la fa uscire dalla ristretta cerchia degli specialisti trasformandola in argomento da prima pagina. Tutto ciò orienta in maniera determinante l’opinione pubblica, un fatto che poi si traduce in scelte politiche. Che rapporto c’è oggi tra l’informazione scientifica e quella politica?I media italiani assegnano un’eccessiva importanza alle notizie provenienti dalla stampa scientifica. Anche le riviste specializzate possono riportare notizie errate, e il giornalista che le rilancia spesso non verifica la fonte ma prende le informazioni solo dalle agenzie di stampa. Tempo fa i giornali lanciarono nelle prime pagine un caso drammatico di aborto a Napoli e il presunto blitz della polizia in ospedale. Il giorno successivo si capì che non c’era stata alcuna incursione, e il Corriere della Sera e Repubblica fecero un passo indietro. Questioni così gravi e delicate non possono andare sui giornali solo quando c’è riflesso di cronaca. Di bioetica si parla in misura sempre crescente..Anche se alcune testate rispettano ancora una andamento sinusoidale, in generale oggi c’è più informazione, e questo per due fattori. Innanzitutto sono temi che sempre più riguardano la politica, e poi è aumentata la richiesta da parte dei lettori. Le persone si rendono conto che questi temi potrebbero riguardare anche loro e notano l’andamento discontinuo con cui le informazioni vengono offerte.
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