mercoledì 16 febbraio 2011
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Il segretario del Pd Pierluigi Bersani va all’attacco: «Siamo noi a questo punto a chiedere le elezioni. Ma non perché ci occupiamo di reati né di peccati perché dei primi se ne occupa la magistratura, dei secondi la Chiesa. Noi ci occupiamo dell’Italia e non vogliamo che l’Italia sia allo sbando». Ma, alle urne, c’è anche una subordinata: «Se il premier è uno statista, faccia un passo indietro e tolga l’Italia dall’imbarazzo». Bersani si augura che anche nel centrodestra «succeda un fatto», un qualcosa che lo induca alle dimissioni, altrimenti «lo scenario sarebbe drammatico, con il Paese allo sbando».Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini tace. Parla però il segretario Lorenzo Cesa, con un fair play molto britannico: «Rispettiamo i magistrati milanesi che hanno scelto il rito abbreviato per Berlusconi, e nei confronti del premier siamo garantisti come per ogni imputato. Ci auguriamo che questa vicenda sia chiarita al più presto, nell’interesse delle istituzioni italiane». Ma, al di là dei commenti sul rinvio a giudizio del premier – ai quali ognuno partecipa con la sua sensibilità – cresce tra le opposizioni l’idea che l’innegabile accelerazione del chiarimento politico impressa dalla decisione del gip milanese avrà come probabile sbocco un nuovo governo senza Berlusconi e non le elezioni.La partita non è però così semplice. Berlusconi, come dice un Massimo D’Alema che ha ripreso a tessere la sua tela di rapporti, è un combattente nato. Anche se ha «la morale sotto i tacchi». E, quindi, venderà cara la pelle. Ma, ragiona Pino Pisicchio, vice di Rutelli all’Api, «non so quanto il Cavaliere potrà resistere, blindando il Parlamento per aggirare i processi. Credo che ormai sia al capolinea. E i suoi lo sanno». E allora gli occhi sono puntati sulla Lega. «È in grande confusione», dice Francesco Saverio Garofani, un deputato molto vicino al capogruppo del Pd Dario Franceschini. Che spiega: «È la prima volta che Berlusconi non può brandire l’arma delle elezioni anticipate». E, come in un gioco di specchi, a impugnarla stavolta sono proprio le opposizioni. Raffaele Lombardo, presidente della Regione Sicilia e leader dell’Mpa, ieri è andato a trovare Casini. All’uscita ha detto: «Abbiamo parlato della delicatezza del momento. Della situazione politica che può evolvere da un momento all’altro in elezioni politiche anticipate. Che oggi sono il male minore». Ma, nonostante tutto, molti esponenti delle opposizioni scommettono su un nuovo governo, magari con il compito di tener ferma la barra dei conti, completare la riforma federale, dare un po’ di ossigeno alle famiglie e alle imprese, cambiare la legge elettorale. Ne ha parlato, ancora ieri Bersani. Ne ha parlato, smettendo i panni del propugnatore del voto, persino Nichi Vendola: che ha detto di no a governi «stabili», politici, ma non ha affatto chiuso la porta a una «fase transitoria che riformi il sistema elettorale e detti regole sul tema scabroso del conflitto d’interessi, e che garantisca il pluralismo e l’indipendenza del sistema informativo».
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