giovedì 25 agosto 2011
Anche il Quirinale perplesso su un taglio parziale. Contributo di solidarietà: si lavora a una soluzione soft: il 5 per cento a chi ha più di 200 mila euro.
- Alfano: serve un patto per i giovani 
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"Le Province o le aboliamo tutte o è me­glio lasciare perdere...». Dietro quel­le dieci parole 'rubate' a Fabrizio Cicchitto durante il vertice dello stato maggiore del Pdl a Palazzo Madama, prende forma l’ulti­ma « L sfida nella maggioranza. Per capire bisogna tornare indietro di una mancia­ta di ore, quando arrivano alle orecchie di Berlusconi le perplessità del Quirina­le su un taglio parziale delle Province. Il presidente del Consiglio si mette subito in moto per capire l’atteggiamento del­la Lega e, ancora una volta, non trova por­te aperte. Il Pdl però insiste. E anche Ga­sparri rilancia un’abolizione totale. Una prova? Il 'faccia a faccia' tra il pre­mier e il repubblicano Nucara: «Silvio, quell’abolizione parziale io non la voto». «Ho dei dubbi anch’io», risponde il Ca­valiere, accennando all’occhio attento del capo dello Stato su un taglio fatto con me­ri criteri numerici, e dunque discutibile quando si parla di enti di rango costitu­zionale. D’altra parte il presidente del Se­nato Schifani, ieri, è salito al Colle, e ha po­tuto ascoltare a viva voce le preoccupa­zioni e le raccomandazioni di Napolita­no. Con tale sponda, il premier è stato chiaro: «Meglio fare una scelta radicale». La strada, si ragiona nel vertice dei diret­tivi parlamentari Pdl (presente anche Marco Milanese, l’ex braccio destro di Tremonti coinvolto in inchieste giudiziarie) sa­rebbe quella di un ddl costituzionale che, con un Parlamento concorde, si farebbe in tre mesi. Ma l’incognita è ancora una volta il Carroccio, di que­sti tempi sensibilissimo alle grida degli ammini-­stratori locali. La naturale conseguenza di que­sta scelta, si osserva, sarebbe la cancellazione dal­la manovra dell’articolo che stronca le 29 pro­vince con meno di 300mila abitanti, finite in pri­ma battuta nel mirino del governo. È una partita complicata. E complicato è il con­fronto sulla manovra. Sono giorni che Tremonti appare isolato ed evita di spiegare a Berlusconi il suo crescente malessere. Ma la situazione è sem­pre più tesa e Gaetano Quagliariello, il vi­cepresidente dei senatori pidiellini, agita lo spettro della crisi: «La manovra non può essere stravolta, altrimenti cade il go­verno... ». È in questo clima che si acca­vallano vertici informali e riunioni uffi­ciali. Non c’è un tema che decolla. Certo, la prima sfida del premier resta quella di togliere o ammorbidire il contributo di so­lidarietà e anche ieri si parlava di una tas­sa del 5 per cento solo a chi ha un reddito superiore ai 200 mila euro. Ma i saldi de­vono restare invariati e si lavora ancora su un aumento dell’Iva, sul capitolo dismis­sioni e ad una tassa sui tabacchi. E nelle ultime ore si fa largo anche l’idea di un tet­to agli stipendi dei manager pubblici. Tutto è vago. E anche il confronto sulle pensioni non decolla. Gasparri chiede che preliminarmente siano ascoltate Cisl e Uil, i «sindacati responsabili». E il sottosegre­tario all’Economia Casero ammette con realismo: i margini sono sottilissimi. C’è ti­more di strappare con la Lega, ma il pre­mier ancora spera. E nel suo ufficio ad Ar­core è sempre in bella vista la riforma pre­videnziale varata nel 2004 da Maroni.
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