"Le Province o le aboliamo tutte o è meglio lasciare perdere...». Dietro quelle dieci parole 'rubate' a Fabrizio Cicchitto durante il vertice dello stato maggiore del Pdl a Palazzo Madama, prende forma l’ultima « L sfida nella maggioranza. Per capire bisogna tornare indietro di una manciata di ore, quando arrivano alle orecchie di Berlusconi le perplessità del Quirinale su un taglio parziale delle Province. Il presidente del Consiglio si mette subito in moto per capire l’atteggiamento della Lega e, ancora una volta, non trova porte aperte. Il Pdl però insiste. E anche Gasparri rilancia un’abolizione totale. Una prova? Il 'faccia a faccia' tra il premier e il repubblicano Nucara: «Silvio, quell’abolizione parziale io non la voto». «Ho dei dubbi anch’io», risponde il Cavaliere, accennando all’occhio attento del capo dello Stato su un taglio fatto con meri criteri numerici, e dunque discutibile quando si parla di enti di rango costituzionale. D’altra parte il presidente del Senato Schifani, ieri, è salito al Colle, e ha potuto ascoltare a viva voce le preoccupazioni e le raccomandazioni di Napolitano. Con tale sponda, il premier è stato chiaro: «Meglio fare una scelta radicale». La strada, si ragiona nel vertice dei direttivi parlamentari Pdl (presente anche Marco Milanese, l’ex braccio destro di Tremonti coinvolto in inchieste giudiziarie) sarebbe quella di un ddl costituzionale che, con un Parlamento concorde, si farebbe in tre mesi. Ma l’incognita è ancora una volta il Carroccio, di questi tempi sensibilissimo alle grida degli ammini-stratori locali. La naturale conseguenza di questa scelta, si osserva, sarebbe la cancellazione dalla manovra dell’articolo che stronca le 29 province con meno di 300mila abitanti, finite in prima battuta nel mirino del governo. È una partita complicata. E complicato è il confronto sulla manovra. Sono giorni che Tremonti appare isolato ed evita di spiegare a Berlusconi il suo crescente malessere. Ma la situazione è sempre più tesa e Gaetano Quagliariello, il vicepresidente dei senatori pidiellini, agita lo spettro della crisi: «La manovra non può essere stravolta, altrimenti cade il governo... ». È in questo clima che si accavallano vertici informali e riunioni ufficiali. Non c’è un tema che decolla. Certo, la prima sfida del premier resta quella di togliere o ammorbidire il contributo di solidarietà e anche ieri si parlava di una tassa del 5 per cento solo a chi ha un reddito superiore ai 200 mila euro. Ma i saldi devono restare invariati e si lavora ancora su un aumento dell’Iva, sul capitolo dismissioni e ad una tassa sui tabacchi. E nelle ultime ore si fa largo anche l’idea di un tetto agli stipendi dei manager pubblici. Tutto è vago. E anche il confronto sulle pensioni non decolla. Gasparri chiede che preliminarmente siano ascoltate Cisl e Uil, i «sindacati responsabili». E il sottosegretario all’Economia Casero ammette con realismo: i margini sono sottilissimi. C’è timore di strappare con la Lega, ma il premier ancora spera. E nel suo ufficio ad Arcore è sempre in bella vista la riforma previdenziale varata nel 2004 da Maroni.