mercoledì 6 ottobre 2010
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«Mi voglio giocare la partita fino in fondo, voglio provarci, voglio dimostrare che andare avanti è possibile... Abbiamo i numeri. Chiari, netti». Silvio Berlusconi a tratti alza la voce. «Nessuno parli più di elezioni, chiedere il voto vuol dire fare male al Paese... E allora bocche chiuse e toni bassi». Cerca due settimane senza incidenti, il capo del governo. E si muove con quel solo obiettivo. Chiede di evitare scontri sulle presidenze delle commissioni. Di mettere da parte attacchi a Fli. Minimizza anche l’offensiva di Fini sulla legge elettorale. E chi lo conosce da sempre capisce cosa c’è dietro il nuovo atteggiamento: serve un’intesa sulla giustizia, serve un accordo per riuscire a garantirsi quello "scudo" che gli permetta di governare libero da condizionamenti.È la giustizia la priorità. Berlusconi chiuso nella roccaforte romana di Palazzo Grazioli sente a lungo l’avvocato-deputato Niccolò Ghedini e il ministro della Giustzia Alfano per capire come uscire dall’incubo. Nella sua testa c’è solo una data: 14 dicembre. Quel giorno la Corte Costituzionale potrebbe cancellare la legge sul legittimo impedimento che oggi è l’unica carta nelle mani del presidente del Consiglio per allontanare il momento della resa dei conti sui processi. A cominciare da quello Mills che a marzo 2011 potrebbe arrivare al momento della sentenza. Berlusconi è angosciato, si sente impotente, immagina che dalla decisione della Corte non arriveranno buone notizie e allora prova a capire se un primo sì al lodo Alfano costituzionale possa in qualche modo condizionare la decisione dei giudici della Consulta.I riflettori si spostano a Palazzo Madama dove proprio oggi saranno illustrati, in commissione Affari costituzionali, gli emendamenti. E dove da domani si potrebbe iniziare a votare. Maurizio Gasparri, il presidente dei senatori del Pdl, non si sbilancia. «Gli altri parlano, noi stiamo facendo la legge. Una previsione? Qui si va dritti alla meta». Berlusconi vuole certezze. Anche da Carlo Vizzini, il relatore del lodo, che ieri si è fatto vedere a palazzo Grazioli. Ma c’è un’altra via d’uscita. Riprendere la norma transitoria sul processo breve e convincere Fli e Udc che è una strada giusta e percorribile. Per il miracolo, però, serve un altro clima. E la Lega non aiuta. Maroni ricorda che in «primavera si va al voto in 1080 Comuni e 14 Province». Bossi è più netto: «Anche Fini dice di prepararsi al voto? In primavera ci saremmo andati comunque». Berlusconi («Fli è fermo al 2,9 per cento nei sondaggi») non la pensa così. Vuole andare avanti con il programma. Vuole provarci. Ma intanto passa due ore con Michela Vittoria Brambilla per fare il punto sul team della libertà, un gruppone di militanti chiamati a divulgare i risultati del governo e in caso di elezioni a vigilare sulla regolarità del voto. E dopo quel vertice si lascia sfuggire un avvertimento: il Pdl deve farsi trovare pronto nel caso fossimo costretti a tornare alle urne prima del previsto.
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