lunedì 23 maggio 2011
"Milano non può diventare, alla vigilia dell'Expo 2015, una città islamica, una zingaropoli di campi rom, una città assediata dagli stranieri". Lo afferma il premier in un videomessaggio trasmesso sul sito del Pdl.
- Ministeri a Milano, lite Pdl-Lega
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Dopo l’abbuffata di venerdì scorso sui tg - ora sanzionata anche dall’Agcom -, Berlusconi torna ai videomessaggi sul web. Due clip sul sito del Pdl, una per Milano, l’altra per Napoli. L’appello di fondo è ancora lo stesso («non date la vostra città all’estrema sinistra»), ma a fare rumore sono soprattutto i nuovi affondo contro i candidati a sindaco Pisapia e De Magistris. Il primo – attacca il premier – «vuole la città islamica, una zingaropoli assediata da stranieri, ai quali poi darà anche il diritto di voto». Il secondo, invece, sarebbe solo il volto di una «sinistra rivoluzionaria, inquisitoria, giustizialista... il peggio della politica italiana».L’ufficio in cui sono stati registrati i due video è lo stesso di quello usato nelle interviste "multate". Anche toni, sorrisi e pause richiamano le recenti apparizioni tv. Dunque tutto in linea con la recente strategia comunicativa finalizzata a recuperare Milano e prendere Napoli. Obiettivo che però il premier deve perseguire a costo di divisioni interne sempre più evidenti. Il pomo della discordia continua ad essere il forcing della Lega per portare al Nord almeno due ministeri. Il sindaco capitolino Alemanno ha già paventato l’uscita dei suoi fedelissimi dalla maggioranza (il consiglio comunale ha approvato una mozione bipartisan in difesa della città eterna), la governatrice laziale Polverini ha chiesto un appuntamento al premier «entro questa settimana». Ma ormai sul fronte del «no» sono schierati, senza grosse distinzioni, sia gli azzurri ex forzisti sia quelli di provenienza An, tanto i "romani" quanto i padani e i meridionali.Ancora ieri il ministro La Russa ammetteva che «il dibattito non scalda i milanesi», e Sacconi derubricava tutto a «tempesta in un bicchiere d’acqua», riproponendo di fatto la formula mediana del premier, quella di «trasferire alcuni dipartimenti». Anche il governatore lombardo Formigoni ribadisce che la questione non è tra le priorità, e fa intendere che il miglior modo per trainare lady Moratti è varare subito le misure di stimolo per l’economia, magari già nel Cdm di domani. Nemmeno la candidata a sindaco per Milano e il suo collega Lettieri (anche Napoli sarebbe destinataria di un dicastero) si entusiasmano più di tanto. Il tutto mentre Castelli assicura che «non si tratta di una boutade elettorale» e le sezioni locali della Lega allargano il giro, chiedendo dicasteri anche per la Toscana, il Piemonte...Berlusconi è adirato - dicono i suoi - perché i colpi di freno dall’interno valgono - elettoralmente - quasi più delle ironie che si levano dall’opposizione (tra i tanti: Bersani sfida la Lega a portare qualche ufficio a Gallarate, Follini invoca lo spostamento del Colosseo a Milano, Casini parla di «promesse di Pulcinella»). Il punto è che il premier vede vanificati - sia per le frustate di Bossi sia per le repliche dal suo partito - tutti i suoi tentativi di tenere saldi i nervi sino al ballottaggio. E soprattutto si rende conto di essere all’esame decisivo con un partito che in molti esponenti, ieri, in Transatlantico, si autodefiniva «allo sbando», in preda «alle uscite estemporanee di chiunque», come «i capricci della Carfagna sull’omofobia che ci fanno cambiare la linea politica». La sensazione è che, comunque vadano i ballottaggi, nel Pdl il «chiarimento» sarà preteso: c’è chi si appella ormai apertamente a «Frattini, Alfano e Scajola» - gli eredi dello "spirito del ’94" - perché «prendano la situazione in mano» ed evitino una «diaspora».Il premier resta convinto che passare indenne il secondo turno sia la migliore medicina, e insiste con la chiamata alle armi di moderati e astensionisti: «Pisapia – dice nei videomessaggi – prende il caffé con i centri sociali, il suo programma è rischioso». Associa sempre più la Moratti al precedente sindaco del centrodestra Albertini - che a Milano gode di buona opinione -, rievoca le «bandiere rosse con falce e martello», poi batte duro sulle «zingaropoli»: «Dobbiamo difendere i nostri diritti e la nostra libertà». Parole che Casini condanna con durezza («Non abbiamo nulla a che fare con Berlusconi»), anche se in serata evidenzia un’uguale distanza da Pisapia: «Ha dietro una squadretta che non dà affidamento, si rischia una deriva pericolosa...». Bersani fa sfoggio di ironia: «Lunedì dovrà camminare con il burqa per non farsi riconoscere...».
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