lunedì 12 giugno 2023
Per capire il tormentato rapporto di Silvio Berlusconi con la giustizia è necessario partire dall’editore, anziché dal più volte indagato-imputato
Il Cavaliere e il braccio di ferro infinito con la magistratura

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Per capire il tormentato rapporto di Silvio Berlusconi con la giustizia è necessario partire dall’editore, anziché dal più volte indagato-imputato. Già perché, dal febbraio 1992 agli inizi del ‘94, le tv del Cavaliere diedero un contributo formidabile alla popolarità della marea montante di Tangentopoli: Borrelli, D’Ambrosio, Davigo, Colombo, Di Pietro, i magistrati del pool Mani Pulite di Milano, divennero delle autentiche celebrità anche grazie alle emittenti del Biscione, in prima fila il Tg4 di Emilio Fede che teneva un cronista fisso, Paolo Brosio, davanti al palazzo di giustizia milanese per narrare le gesta dei pm e le disgrazie giudiziarie (talvolta finite in tragedia, come nei casi di Gabriele Cagliari, Raul Gardini, Sergio Moroni) di politici, imprenditori, manager pubblici e privati. Non si può accusare, insomma, il padre di Fininvest e di Mediaset di essere stato pregiudizialmente ostile nei confronti della magistratura. Anche perché fin lì le sue grane giudiziarie - l’accusa di aver mentito quando affermò di non aver pagato per iscriversi alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli e quella di falso in bilancio per l’acquisto dei terreni di Macherio - erano state cancellate da un’amnistia.

Seppellita che fu - tra fischi, monetine, astri nascenti e stelle cadenti - la Prima Repubblica, infatti, Berlusconi decise di “scendere in campo” con un ruolo politico , secondo la celebre espressione da lui stesso usata nel discorso televisivo del gennaio 1994. Una scelta dettata dal timore che la sinistra guidata dal Pds, erede del Pci - praticamente il solo grande partito rimasto in piedi dopo il ciclone Tangentopoli - potesse, una volta al governo, prendere provvedimenti dannosi per i suoi interessi economici. Come andò lo sanno tutti: la nascita di Forza Italia e, di fatto, del centrodestra, la vittoria delle elezioni il 27 marzo, il primo governo Berlusconi.

Già in campagna elettorale erano volate scintille tra il nuovo leader politico e la procura di Milano, per certe perquisizioni che l’ufficio guidato da Francesco Saverio Borrelli aveva disposto negli uffici di Publitalia nell’ambito di un’inchiesta per falso in bilancio. Fu la prima volta che Berlusconi pronunciò parole che tutti gli italiani avrebbero ascoltato più e più volte da lui negli anni a venire: «È un uso politico della giustizia. È una manovra per cambiare il voto, ma non ci riusciranno».

Non era ancora guerra, però. Tanto che tra i ministri del suo primo governo il Cavaliere avrebbe voluto Antonio Di Pietro all’Interno e Piercamillo Davigo alla Giustizia, ma i due magistrati rifiutarono. Arriviamo così alla data che avrebbe segnato per sempre il rapporto tra il fondatore di Forza Italia e la magistratura: il 22 novembre 1994, mentre da presidente del Consiglio presiede la Conferenza delle Nazioni Unite sulla criminalità, Berlusconi riceve un invito a comparire dal pool Mani Pulite relativo alla cosiddetta “inchiesta Telepiù”, la prima pay tv calcistica. Per di più, la notizia fu anticipata la mattina stessa dal Corriere della Sera e rilanciata dai media di tutto il mondo proprio mentre si apriva il vertice Onu.

Da quel momento in poi, è stato un crescendo: al termine della sua vita terrena Silvio Berlusconi avrebbe collezionato quasi 40 procedimenti penali e una novantina di gradi di giudizio. Lui stesso, qualche anno fa, aveva calcolato di aver speso 770 milioni di euro per pagare «105 avvocati» per un totale di 3mila udienze processuali (la fonte è il sito Truenumbers).

L’unica condanna definitiva (2013) sono i 4 anni di carcere, 3 dei quali coperti da indulto, per la frode fiscale da 7,3 milioni di euro relativa alla compravendita dei diritti tv Mediaset. Condanna che lo ha costretto a chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali di 10 mesi e mezzo, al netto dello sconto per la liberazione anticipata, e lo ha portato alla decadenza da senatore per via della Legge Severino: la sua incandidabilità è durata 6 anni.

Tutti gli altri processi sono terminati con l’archiviazione o il proscioglimento già in fase di indagine preliminare, come è accaduto in quelli in cui il suo nome è stato accomunato alla mafia (escluso il fascicolo rimasto aperto a Firenze), nel caso Mediatrade o per il Lodo Mondadori, intricata vicenda di corruzione in atti giudiziari andata avanti per una ventina d'anni e conclusasi in Cassazione con la condanna di Fininvest a risarcire in sede civile la Cir di Carlo De Benedetti con quasi mezzo miliardo di euro. Oppure con l’assoluzione con formula dubitativa, come per uno degli episodi di corruzione contestati nel caso Sme/Ariosto. O, ancora, con la prescrizione. Molte polemiche sollevò, a proposito di prescrizione, la legge “ex Cirielli” (ex perché disconosciuta, dopo le modifiche introdotte in Parlamento, dallo stesso parlamentare di Alleanza nazionale, oggi viceministro degli Esteri, che l’aveva ideata) che ne ridusse i tempi.

Per esempio il procedimento riguardante la vicenda dell’avvocato inglese David Mills, che Berlusconi era accusato di aver pagato per essere testimone reticente nei processi “Tangenti Guardia di Finanza” e “All Iberian”, si chiuse con un «non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione» in secondo grado. In primo grado il Cavaliere era stato condannato a 2 anni e 4 mesi per il finanziamento illecito al segretario del Psi Bettino Craxi.

Impossibile qui non ricordare i grandi scontri - politici, con l’Associazione magistrati e con la stessa Procura di Milano - sulle cosiddette leggi ad personam, cioè in grado di risolvere i guai giudiziari del leader, che negli anni i governi e il partito di Berlusconi hanno fatto approvare o soltanto proposto. Tra tutte, oltre alla “ex Cirielli”, il Lodo Schifani (immunità per le alte cariche dello Stato, dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004), il Lodo Alfano (che sospendeva i processi penali per le alte cariche dello Stato, giudicato incostituzionale nel 2009), il provvedimento sul “legittimo impedimento” (abrogato da un referendum popolare nel 2011).

Infine nei processi di Berlusconi, oltre a quelli “aziendali” o politici (vedi l’accusa di “compravendita” di senatori per far cadere il governo Prodi nel 2008, finito in prescrizione 10 anni dopo), si può individuare un altro grande filone, legato agli scandali sessuali o - secondo la definizione del diretto interessato - alle «cene eleganti» nelle sue residenze private: la vicenda escort, il caso Ruby, le “olgettine”. Con accuse anche pesanti, sotto il profilo penale e sotto quello dell’immagine. Tutti, comunque, terminati con sentenze di assoluzione, ma che sono costati a Berlusconi altri problemi giudiziari, stavolta in sede civile, con il doloroso (e dispendioso) divorzio dalla seconda moglie, Veronica Lario.

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