giovedì 19 maggio 2011
Dopo il facia a faccia con Berlusconi, il leader della Lega apre alla verifica «se la chiede Napolitano». Ieri Bossi aveva avvertito il premier: non andremo a fondo con il Pdl. Il governo battuto cinque volte alla Camera.
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- Milano, Moratti e Pisapia aprono la caccia ai voti centristi
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Il "nuovo progetto" «lo faremo insieme a Berlusconi». Umberto Bossi risponde così ai cronisti che gli chiedono se la Lega voglia attuare «il cambiamento», di cui lo stesso leader del Carroccio ha parlato stamani, con il premier o pensi di andare avanti da sola. «Non l'abbiamo ancora messo giù - prosegue -. Dobbiamo trovarci e sistemarlo, ma innanzitutto non abbiamo le idee di Pisapia, i tipici progetti di sinistra». Quanto ai contenuti Bossi non si sbilancia, malgrado le domande dei giornalisti.«Tremonti ce li mette i soldi?», gli chiedono: «Vediamo...», risponde sorridendo il ministro. «Ma è possibile portarlo avanti con i Responsabili?», insistono i cronisti. «È' quello che ho chiesto oggi a Berlusconi - conclude -. Lui ne è convinto, ma andremo avanti a lavorarci». «È andata bene». Così Umberto Bossi, al termine dell'incontro con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, risponde ai cronisti che gli chiedono l'esito del faccia a faccia. All'incontro c'erano anche Giulio Tremonti e Roberto Calderoli. «Il governo non può non fare niente. Bisogna fare delle scelte, anche noi abbiamo fatto degli errori», ha detto il senatur sottolineando che, sulla verifica della maggioranza, «se lo chiede Napolitano, va bene. È lui il capo». «I milanesi, ha proseguito, non daranno la città in mano agli estremisti di sinistra. La Lega si impegnerà non la lasciamo a un matto che vuole riempirla di moschee e zingari». Dichiarazione ripresa dalle telecamere, ma il leader del Carroccio ha comunque voluto ritrattare poi nel pomeriggio: «Non ho mai detto che è matto». «Milano non sarà mai nelle mani di gente così», ribadisce il leader leghista. Bossi, d'altronde, è convinto che il centrodestra può recuperare lo svantaggio nel ballottaggio: «Milano è una città che rinasce, non diventerà una zingaropoli secondo i progetti di Pisapia». BOSSI: LA LEGA NON ANDRA' A FONDO CON IL PDLUmberto Bossi avverte l’alleato di governo: «Di certo non ci faremo trascinare a fondo». Ma allo stesso tempo - quasi ad esorcizzare un crescendo o, peggio, un avvitamento pericoloso nelle già palpabili tensioni con il Pdl - torna ad ostentare sicurezza e ribadisce che a Milano «non perderemo al ballottaggio». Rompe finalmente il silenzio il leader del Carroccio, dopo il brutto risveglio di lunedì nel capoluogo lombardo. E lo fa con toni che alternano malumore e preoccupazione con pragmatici annunci di impegno.Il senatur nega di essersi sentito al telefono con il premier. Lo fa in serata e i due si danno appuntamento per oggi, dopo il Consiglio dei ministri. Per confrontarsi su come rimediare agli errori che hanno portato Letizia Moratti, favorita della vigilia ad arrancare sei punti dietro a Giuliano Pisapia, candidato del centrosinistra. Di certo l’ora del mea culpa già suona e Bossi non si tira indietro: «Abbiamo perso, abbiamo perso. Abbiamo sbagliato campagna elettorale», ammette. Affrettandosi, però, subito dopo a escludere riflessi della batosta amministrativa (sia pur rimediabile) sulla compagine di governo nazionale. «Non fatevi illusioni», replica a chi gli chiede se sia pronto allo strappo, aprendo una crisi. E comunque la vittoria ci sarà, ribadisce. Ma se perdete, incalzano i giornalisti? «Aspetteremo per vedere cosa succede», tronca il numero uno nordista. A sera Bossi se le prende amche con il Terzo Polo, che non dà indicazioni per secondo turno: «Ha fatto l’accordo con la sinistra», si dice convinto.Già prima dell’esternazione bossiana è Roberto Maroni a cercare di tamponare le indiscrezioni che davano Bossi in procinto di fare le valigie e uscire dall’esecutivo: «Gli ho parlato e non mi risulta abbia detto questa cosa». Pontieri in azione anche sul fronte pidiellino, con il frontman lombardo Roberto Formigoni («nessun problema», c’è «perfetta intesa» sui ballottaggi) e con il portavoce Daniele Capezzone che la mette sul sociologico. A unire le due formazioni non c’è solo un «patto elettorale e di governo», ma anche il «riferimento allo stesso blocco sociale».Sarà. Ma i malumori della base leghista negli ultimi tempi sono stati più d’uno. Soprattutto rivolti ai suoi stessi dirigenti. Il capopopolo del Nord deve fare i conti - anche fisicamente nell’urna - con una pressione dei suoi elettori, che gli rimproverano di essersi adeguato ai (mal)costumi romani. E minacciano addirittura di sposare il vento della protesta di cui sembra farsi interprete più attento in questo frangente il movimento di Beppe Grillo. Certo è che la Lega perde voti ovunque nel suo bacino d’elezione: su 44 comuni con più di 15mila abitanti l’emorragia e consistente. Solo a Bologna, dove è comunque fallito lo sfondamento auspicato il simbolo davanti alla percentuale è un più (2,14%). Così come a San Giuliano Milanese (+0,1). In tutto il Nord il calo è invece intorno al 4.5%.Ma occhi puntati sugli errori degli alleati. A livello locale. Ma anche nazionale, vedi la decisione italiana di partecipare ai raid sulla Libia che ha fatto storcere il naso a molti leghisti. Basti ricordare recenti trasmissioni di Radio Padania, termometro infallibile degli umori che percorrono la base dei sostenitori del partito che ha nel suo simbolo Alberto da Giussano.Per ora, comunque, la parola d’ordine ufficiale è: tutti compatti e concentrati per tenere Palazzo Marino, la sede del municipio milanese. Con slogan che puntano a elementi del programma avversario che spaventano il popolo delle camicie verdi, come il "pericolo islam". Se ne fa ancora una volta interprete l’emittente leghista. Con parecchi ascoltatori che, in un filo diretto, lanciano l’allarme: andiamo a votare al ballottaggio, perché se vince Pisapia ci troviamo una moschea per quartiere. Gianni SantamariaIL GOVERNO VA SOTTO ALLA CAMERA CINQUE VOLTELa ripresa dei lavori in Aula riserva al governo un’amara sorpresa. Per cinque volte la maggioranza va sotto su mozioni delle opposizioni a causa dell’assenza di 12 Responsabili su 29, di gran parte dei ministri e dei sottosegretari e di una quindicina di azzurri. «Rientravano dalla campagna elettorale, non c’è nessuna motivazione politica», si affrettano a buttare acqua sul fuoco i leader del Pdl e il guardasigilli Angelino Alfano, sottolineando che «nelle votazioni finali non abbiamo avuto problemi». Mentre le opposizioni, con una voce sola, mettono il dito nella piaga: «I "disponibili" battono cassa, e quando i membri del governo non vengono in Aula non hanno più la maggioranza».Alla luce delle amministrative, le defezioni di ieri sono diventate subito un caso politico. Aggravato anche dalla scissione interna al gruppo dei Responsabili: ieri Elio Belcastro e Arturo Iannaccone di Noi Sud - in dissenso con la linea del sottosegretario Enzo Scotti - hanno annunciato la nascita di una sorta di "quarta gamba" meridionalista dell’esecutivo (la chiamano già Lega Sud, e sancirebbe l’asse con Forza del Sud di Gianfranco Miccichè e Io Sud di Adriana Poli Bortone, sperimentato con il voto nei comuni). Le adesioni, dice Elio Belcastro, «vengono anche dal Pd». «È un progetto politico serio», assicurano quelli che salutano Scilipoti e compagnia. «È il partito di quelli che non hanno ricevuto premi da Berlusconi», dicono i Responsabili più maliziosi, ricordando che i risultati negativi dell’ultima tornata elettorale hanno definitivamente allontanato la speranza di un secondo rimpasto. «Riflettete, non dividiamoci adesso», è l’appello del coordinatore della "terza gamba", Luciano Sardelli.In ogni caso, il misto tra assenze «occasionali» e assenze «con significato politico» ha regalato alla maggioranza una mattinata horror. Nei lavori a Montecitorio l’esecutivo riceve quattro scossoni in rapidissima successione. Si discute di carceri. Prima passa con il parere contrario del governo una mozione di Fli che chiede di «assumere iniziative volte ad adeguare, in vista dei prossimi provvedimenti finanziari, la spesa pro capite per detenuto». Poi incassa il si dell’Aula anche una mozione del Pd, a seguire una dell’Idv. Infine viene bocciato un testo del Pdl. Lo scarto nelle quattro votazioni è tra i dieci e i quindici voti, con l’opposizione che si assesta sui 265 e la maggioranza che oscilla intorno ai 250.La lista degli assenti alimenta subito i sospetti: tra i 12 Responsabili mancano il neo-ministro Saverio Romano e tre che aspiravano a incarichi di governo come Francesco Pionati, Maria Grazia Siliquini e Arturo Iannaccone. È da ricordare che appena l’altro ieri Sardelli aveva pubblicamente ammesso che parlare di nuove poltrone era ormai impossibile. Assenti anche Italo Tannoni dei Libdem, l’ex finiano Luca Barbareschi e Calogero Mannino. Nel pomeriggio, poi, la quinta sconfitta. Dopo la ratifica del trattato che mette al bando le bombe al grappolo, il dipietristra Di Stanislao presenta un ordine del giorno in cui chiede al governo di intervenire anche sulle banche che ne finanziano la produzione. Passa per tre voti di scarto (267 a 264) e due astenuti.L’Aula dunque, come temevano Berlusconi e i suoi "colonnelli", diventa subito un campo minato. Stizza e risa accompagnano le varie giustificazioni degli assenti (Iannaccone assicura di «non aver trovato parcheggio»), e diversi Responsabili non entrati nell’esecutivo mettono all’indice, non casualmente, i «sottosegretari che non si sono presentati a votare, che Berlusconi dovrebbe far dimettere da deputati». Si aggiunge poi il curioso caso di Roberto Marmo, neo-deputato entrato ieri alla Camera, che prima si iscrive ai Responsabili, poi va a sedersi con il Pdl con tanto di comunicato stampa di Denis Verdini. Il tutto dopo aspra lite tra il "terzogambista" Mario Pepe e l’azzurra - astigiana come Marmo - Maria Teresa Armosino. Marco Iasevoli
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