venerdì 22 luglio 2011
Il premier rassicura: problemi solo all'interno della Lega. Però non accetto più diktat. Castelli fa "obiezione di coscienza" e al Senato viene rinviato l'esame sul finanziamento delle missioni militari.
- E Maroni pensa a un dopo-Silvio: dentro Udc e finiani
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«No, non è una finta, è qualcosa di più, la frattura al loro interno mi sembra vera, ma penso che i margini per ricucire e andare avanti ci sono». Nella lunga notte di mercoledì, e nella giornata europea di ieri, Berlusconi è rimasto in contatto permanente con Alfano e i colonnelli del Pdl per capire sino in fondo la portata della grana-Lega. Un moderato e prudentissimo ottimismo lo porta a ricondurre tutto nell’alveo della faida intestina al Carroccio. O, almeno, è questa la linea comunicativa migliore per allontanare lo spettro della crisi: «Non è un momento delicato, c’è una situazione interna ad un partito – dice a margine del vertice di Bruxelles –, ma ho ricevuto rassicurazioni precise che non ci sono rischi per la coalizione». Rassicurazioni ricevute dagli «uffici» del ministro Maroni - non da lui in persona, dunque - «lungamente» interpellati a poche ore dal voto su Papa, mentre non c’è ancora stato il dialogo personale con Bossi: «Ho provato a chiamarlo per fargli gli auguri prima dell’operazione agli occhi, ci riproverò nei prossimi giorni» (proprio l’intervento medico non permetterà al Senatur di partecipare al Cdm di stamattina in cui si attendeva il faccia a faccia del chiarimento, anche se gli impegni "padani" di Bossi, compresa l’apertura delle sedi ministeriali a Monza, non sono stati cancellati).Il Berlusconi politicamente corretto di Bruxelles («Ho letto e apprezzato le parole di Napolitano» sulla giustizia, dice), nei colloqui privati non riesce a superare la rabbia, lo «sconcerto» e i dubbi sul ruolo avuto dal Carroccio (da Maroni) nell’arresto del deputato azzurro: «Ora basta – ha confidato ad una vicecapogruppo – con diktat e concessioni, non ci sto ad essere commissariato. Se vogliono lascio le chiavi del Palazzo a Napolitano. Ma me lo devono dire in faccia». Ma il punto è proprio questo, ragionano i suoi: chi glielo dovrebbe dire? Bossi o Maroni?Se il proposito di fissare negli occhi il Senatur durante il Cdm di stamattina è saltato, resta la possibilità (a meno di rinvii e assenze dell’ultimo secondo) di incrociare lo sguardo del ministro dell’Interno, accusato sottotraccia nel Pdl di aver "organizzato" l’arresto di Papa per conquistare la leadership del Carroccio e avviare le pratiche che portano al governissimo. Dal Viminale, secondo la ricostruzione dello stesso premier, mercoledì notte sono arrivate «rassicurazioni». Ma al Cavaliere non basta. E non basta nemmeno ai fedelissimi, che ieri in Transatlantico ricostruivano il presunto "patto" tra Maroni, il Pd e Casini: governo tecnico senza Berlusconi e salvataggio di Milanese, il cui ruolo di braccio destro di Tremonti lo avrebbe messo in stretto contatto con uomini del Carroccio. Ragionamenti che danno l’idea di una tensione ai massimi livelli: il corpaccione pidiellino si ribella a tutti i livelli all’ipotesi di una golden share leghista sull’esecutivo.In attesa che Berlusconi parli con Bossi (o con Maroni), ieri si sono mossi Alfano e i capigruppo di Camera e Senato, che hanno chiesto un colloquio a Roberto Calderoli, ritenuto la cinghia di trasmissione tra il Senatur e il ministro dell’Interno. Un incontro teso. Cicchitto avrebbe ribadito «l’assoluta gravità» del voto su Papa, e insieme i colonnelli avrebbero chiesto garanzie sugli altri due temi caldi: le missioni internazionali e i costi della politica. Sul ddl preparato da Calderoli, in discussione proprio oggi nel Cdm, il Pdl sarebbe pronto a fare muro: «Su questi temi si lavora insieme, non vi lasciamo alcuna egemonia». I ministri azzurri non sono per nulla contenti delle fughe in avanti del Carroccio su questioni ad alta presa elettorale. Addirittura, si ipotizza una fumata nera in esecutivo. Ma si deciderà in base all’opportunità politica.Quanto alle missioni internazionali, ieri mattina era previsto l’esame del Senato. Ma le esternazioni «a titolo personale» del viceministro leghista Castelli («Non voto il decreto per motivi etici, ne ho parlato con Bossi, sono pronto a dimettermi»), unite alla reazione delle opposizioni contro il taglio nella notte ai 17 milioni per la cooperazione civile, hanno portato - su richiesta del presidente di turno dell’Assemblea, il pd Vannino Chiti - al rinvio del voto a martedì. E mentre l’altra parte dell’emiciclo chiedeva le dimissioni di Castelli, i capigruppo di Lega e Pdl - in serata anche Maroni - si affrettavano a chiarire che il Carroccio non si defilerà.
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