lunedì 4 maggio 2009
Già monitorato il 40 per cento del patrimonio: inagibile un edificio su due. L’esperto del Cnr: per rilievi precisi e indolori sugli affreschi usiamo l’esame termografico
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«Se lo tocchi, viene giù». Giandome­nico Cifani non potrebbe essere più chiaro: il Cristo benedicente è visi­bilmente provato e la vita di Santa Lucia rischia di anda­re in polvere, dopo ottocen­to anni. Cifani dirige la sede aquilana dell’Istituto delle tecnologie della costruzio­ne del Cnr e coordina i rilie­vi sui danni prodotti dal ter­remoto sui beni storico-ar­chitettonici da Ocre a Ovin­doli, fino a Celano. Siamo nella chiesa di Santa Lucia, sull’Altopiano delle Rocche, pochi chilometri sopra l’A­quila. Tutt’intorno, solo pa­scoli e sciovie, chiese e ca­stelli. Dove passava la tran­sumanza, che di tratturo in tratturo si concludeva nel Tavoliere delle Puglie, è fio­rita un’industria turistica che il terremoto ha azzop­pato. Quello di Ocre era uno dei castelli più antichi: solo Federico II di Svevia è riu­scito a far peggio del terre­moto, radendo al suolo il maniero perché i suoi si­gnori non volevano contri­buire alla costruzione del­l’Aquila. È danneggiata an­che la torre di Aielli, uno dei punti di avvistamento con cui gli Angioini tenevano sotto controllo il Regio trat­turo Celano-Foggia, che fino al ’700 era la via della lana. Stessa sorte, a Celano, per la chiesa - inagibile - di San Mi­chele Arcangelo e l’Oratorio S. Pellegrino, a Bominaco, un pugno di case di pie­tra che cu­stodisce un ciclo di af­freschi stu­diato in tut­to il mondo. «Per noi è un disastro - scuote la testa il sin­daco di Rocca di Cambio Antonio Pace e quasi pian­ge sul sagrato di Santa Lucia -. Il nostro è un comune di 500 anime che in estate di­ventano tredicimila. Il ter­remoto ha rubato i nostri gioielli». Pace non esagera: ci troviamo in quel che re­sta di una delle abbazie go­tico- romaniche più impor­tanti del centro Italia. Il si­sma ha fatto crollare il mu­ro in due punti, lesionando gli affreschi del XIII secolo. «Ho cercato di proteggerli subito, ma un pezzo di mu­ro è crollato ugualmente» spiega il primo cittadino, che si è beccato una repri­menda della Sovrintenden­za per aver costruito un ponteggio non regolamen­tare. Lui scrolla le spalle: «Al­le procedure penseremo do­po, ora bisogna salvare le o­pere d’arte». Le procedure sono tutto, in­vece, per i tecnici del Cnr che si affaccendano al ca­pezzale dell’arte abruzzese. Rispondono agli ordini di Luciano Marchetti, il vice commissario con delega ai beni culturali. Uno studio­so da trincea, che si è fatto tutti i terremoti, dal Friuli in poi, e non lesina l’impegno pur di salvare navate e capi­telli: «Per ora lavoriamo a debito: ho detto a Bertolaso che poi dovrà passare lui a pagare». Marchetti scherza, ma non troppo: sono tremi­la i monumenti che devono essere passati al setaccio dalle (poche) squadre di vi­gili del fuoco, architetti, sto­rici e ingegneri strutturisti in forza negli otto centri o­perativi misti in cui è stato suddiviso il territorio disa­strato. Secondo il vice di Bertolaso restituire a fedeli e turi­sti il patri­monio sto­rico- archi­tettonico colpito dal sisma del 6 aprile non costerà me­no di tre mi­liardi di euro. Si tratta di u­na stima 'spannometrica' perché la terra continua a tremare: ogni giorno che passa affiora una crepa e un nuovo comune bussa alla porta della Protezione civi­le. La mattina del 28 aprile era­no stati segnalati alla Prote­zione civile più di 1.500 mo- numenti danneggiati e le ve­rifiche riguardavano 600 be­ni, quasi il 40% di castelli, chiese, abbazie e torri se­gnate da crepe o crolli. Il 46% dei casi monitorati è ri­sultato inagibile; tuttavia, solo il 30% potrà essere re­stituito alla popolazione in tempi brevi, perché il re­stante 24% richiede co­munque delicati interventi di messa in sicurezza, oltre ai restauri. Queste statisti­che non tengono conto del centro storico dell’Aquila, dove si concentra la maggior parte dei beni culturali e che è in massima parte off limits anche per i verificatori. L’in­tensità macrosismica, che descrive gli effetti delle scos­se sulle strutture, in città si aggira intorno al valore 8: di norma, è sufficiente arriva­re a 5 per vedere crepe e ce­dimenti, tant’è vero che il valore 6 fa scattare lo status di area terremotata. Per esaminare le situazioni più pericolose, si ricorre quindi alle tecnologie più moderne. È avvenuto per Santa Lucia, dove è stato ef­fettuato un monitoraggio termografico per capire co­me intervenire sugli affre­schi: questa tecnica per­mette di 'vedere' il danno subito dal dipinto senza av­vicinarsi alle pareti. «Sfrutta gli infrarossi ed è il modo più rapido, sicuro ed economi­co possibile - spiega Cifani ­. Le immagini rilevate nel­l’abbazia di Santa Lucia da Ermanno Grinzato della se­de di Padova dell’ITC-CNR con l’aiuto della Flir Systems permettono di stabilire lo stato di danneggiamento degli affreschi senza sfiorar­li e decidere come interve­nire sui muri, onde evitare di peggiorare le cose». È ormai chiaro che sotto gli occhi degli esperti sta pren­dendo forma un quadro sconfortante: siamo di fron­te a un danno enorme per la cultura (e ad un colpo mor­tale per il fatturato turistico) ma anche per la religiosità abruzzese: centinaia di luo­ghi di fede saranno inacces­sibili per molto tempo. La Chiesa segue da vicino le o­perazioni, con le quali ci si a­dopera anche per mettere in salvo dipinti e arredi delle chiese abbandonate, che sono facile preda degli scia­calli di opere d’arte. In qual­che caso, si riesce a fare mol­to di più: «Un esempio di ef­ficienza è stato il trasferi­mento dell’Archivio arcive­scovile dell’Aquila - spiega infatti don Stefano Russo, direttore dell’Ufficio Cei per i beni culturali - che si tro­vava nel palazzo episcopale, reso completamente inagi­bile dal terremoto. Il recu­pero del materiale archivi­stico, di rilevantissima im­portanza culturale, era mol­to complesso, ma, in pre­senza del direttore generale per gli archivi del Ministero, Luciano Scala, dei respon­sabili della diocesi e dei vi­gili del fuoco, si è riusciti a trasferirlo in una struttura dove sarà al sicuro ma sarà anche possibile continuare l’attività dell’Archivio negli anni in cui verrà restaurato il Palazzo Episcopale».
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