sabato 9 settembre 2023
La giurista: «Il provvedimento adesso va unito ad azioni preventive»
Suor Anna Monia Alfieri

Suor Anna Monia Alfieri - .

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«È inammissibile che i genitori possano deliberatamente non mandare a scuola i figli e per questo ricevere una multa di 30 euro, come avveniva finora. Trovo interessante il “decreto Caivano” perché inasprisce sì le pene, ma intervenendo in modo incisivo sugli adulti. È chiaro che la devianza minorile cui stiamo assistendo, e in particolare il caso delle due bimbe di Caivano violentate per mesi, sono dovuti a famiglie del tutto assenti». Suor Anna Monia Alfieri, giurista e docente Altis all’Università Cattolica di Milano, approva la stretta del governo nel contrasto alla criminalità minorile, ma a precise condizioni: «I provvedimenti restrittivi hanno senso solo se contemporanei ad azioni educative, di sostegno e prevenzione ».

È d’accordo anche sulla pena fino a due anni di carcere per i genitori che no n abbiano mai iscritto a scuola i figli?
La famiglia è la prima ad avere la responsabilità educativa sui figli, bisogna cominciare a dire chiaro che ha l’obbligo di agire responsabilmente il proprio ruolo, altrimenti dovrà risponderne. Naturalmente il carcere è l’extrema ratio, ci si arriva solo dopo che sono più volte intervenuti i servizi sociali e la scuola. Se, nonostante tutto, le cose non cambiano, si tratta di adulti che non hanno capacità genitoriale, quindi i bambini vanno allontanati e dati in affido. Se una bimba di 8 anni va a scuola, il docente si accorge di ciò che le accade e riesce a intervenire per il bene di questi minori, che siano vittime o siano il branco. Ma ribadisco: le nuove misure saranno positive solo se affiancate da un’attività educativa e di sostegno alla famiglia.

Il governo è accusato di aver puntato solo sulla repressione nei confronti dei minori.
In realtà è il contrario, il decreto punta a responsabilizzare gli adulti, a tutela dei minori. Ma lei una bambina che viene violentata per un anno la lascerebbe a una mamma che non se n’è mai accorta, o che l’ha venduta?

Che dire dello stop ai cellulari per i minori che li hanno usati per condotte criminali, come la diffusione delle violenze?
Se un ragazzo si è macchiato di uno stupro terribile come quelli di Caivano o di Palermo e sui social se ne vanta con frasi aberranti, è evidente che la misura è consona. Ricordiamoci sempre che la pena del minore è riabilitativa, non punitiva, quindi impedirgli di avere un’attività produttiva del genere è doveroso anche dal punto di vista educativo. Se lasciamo passare tutto dicendo “sono ragazzate” li perdiamo. Inoltre la vittima, che ha già subìto lo stupro, è nuovamente vittima dello scherno.

Però c’è chi considera inapplicabile la norma: “che fai, vai a casa e gli togli il telefonino?”.
Se un minore ha violentato una ragazza e ha diffuso il crimine sui vari dispositivi, non è che gli si requisisce il cellulare e finisce lì: a 14 anni si è identificabili con dati anagrafici, con un Daspo inizio a vietargli di accedere ai social, poi è chiaro che fatta la legge c’è già l’inganno e può accedere con un profilo falso, ma qui si tratta di ragazzi che sono attenzionati, sui quali sono stati avviati interventi, sono affidati al carcere minorile o alla comunità di recupero.

Il decreto abbassa l’età per una serie di misure, come l’ammonimento per i minori dai 12 anni in su. È un passaggio forte...
È indubbio che la criminalità organizzata si avvalga di minori di 14 anni perché non sono punibili. Lo ritengo un passaggio positivo, sempre nell’ottica della tutela e della riabilitazione, non certo della punizione, purché il governo investa subito sulle comunità di recupero: per questi ragazzini il carcere non serve ad altro che a diplomarli in delinquenza! Dalla premier mi aspetto che arrivino risorse massicce alle due realtà veramente preventive, le comunità di recupero e la scuola, soprattutto quella paritaria: i Daspo e le pene non serviranno, se non saranno corredati da interventi educativi incisivi. Se nelle zone di criminalità minorile quotidiana ci fossero una scuola statale che funziona e accanto una scuola paritaria libera e gratuita per tutti, non solo alla portata dei ricchi, la scuola sarebbe un ascensore sociale, un deterrente e un’alternativa vera ai fatti criminosi. La legge di Bilancio deve assolutamente investire sulla paritaria con 500 milioni di euro a favore delle famiglie: non è una mera coincidenza se al Sud, dove la scuola paritaria è presente al 4%, abbiamo un altissimo tasso di dispersione scolastica e delinquenza minorile, mentre al Nord, dove la paritaria è al 37/50%, i ragazzi arrivano ai primi posti nella valutazione europea Ocse Pisa. Se la Meloni non investirà questi 500 milioni, le paritarie chiuderanno presto e gli 800mila alunni che e frequentano si riverseranno sulle statali. Siccome il costo medio di ogni studente è di 7.000 euro, il conto è presto fatto: l’anno prossimo la legge di Bilancio dovrà trovare 5,4 miliardi di euro. Per l’Italia sarebbe il tracollo economico, ma per le tante Caivano sarebbe il deserto educativo.

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