sabato 8 marzo 2014
“Pubblico” non significa “statale” Il 10 maggio l’incontro col Papa.​
Il contagio dell’entusiasmo di Roberto Carnero
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Se non è stata un’occasione persa, le somiglia parecchio. Quindici anni dopo l’introduzione dell’autonomia scolastica, le scuole italiane sono ancora legate in rapporto di strettissima dipendenza - rassicurante ma mortificante - col centralismo del Ministero. Chi davvero l’autonomia l’ha fatta propria, invece, sono le scuole non statali, autonome da sempre e riconosciute come paritarie già dal 2000. Un esempio virtuoso, guardato ancora con sospetto da chi traduce “pubblico” solo con “statale”. Eppure laicissimi paesi – dalla Svezia agli Stati Uniti – da tempo hanno imboccato con decisione la strada della parità reale, riconoscendo alle famiglie la libertà di scelta educativa. In Italia è un percorso rimasto a metà. È questa l’analisi su cui convergono addetti ai lavori e politici, al seminario organizzato ieri dal Centro studi scuola cattolica, in vista dell’appuntamento del 10 maggio, quando papa Francesco incontrerà il mondo della scuola. Segni di attenzione arrivano dal governo, che promette di voler puntare sulla scuola per far uscire il paese dal pantano. «Bene l’azione dell’esecutivo – dice il deputato del Pd Edoardo Patriarca, ex insegnante – ora serve una maggiore integrazione tra scuola statale e paritaria. Perché è tutto il sistema educativo che va tutelato, senza che ogni anno ci sia una battaglia per i finanziamenti. Rafforziamo tutto il sistema, statale e non, se vogliamo migliorare la nostra società. Ogni volta che chiude una scuola paritaria il territorio si impoverisce perché sparisce una proposta formativa».Un approccio in sintonia con le parole pronunciate da Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e presidente della Commissione Cei per la scuola. «Anche a me è parso di vedere questa attenzione della politica. Sarebbe molto importante che questo piccolo segno fosse una responsabilità avvertita dalla stessa società civile. Altrimenti vi è sempre solo un’attenzione di tipo finanziario, dimenticando che l’educazione deve essere davvero al cuore dell’impresa educativa». Nessuna concorrenza, allora, tra statale e privata: «La certezza dei finanziamenti serve a tutto il sistema scolastico». Urge un salto di qualità: «Se effettiva responsabile dell’istruzione è la scuola autonoma, allora non conta il gestore per legittimare il servizio, contano i risultati che la scuola sa raggiungere. Anzi, in una logica di sussidiarietà, la vicinanza all’utenza di una non statale può essere garanzia di maggiore efficienza». L’autonomia prima, poi la parità, ma il cantiere è rimasto incompiuto. Giorgio Vittadini (presidente della Fondazione per la sussidiarietà) non ha dubbi: «Per una libertà di educazione non basta l’autonomia della scuola pubblica, ma un sistema paritario in cui una scuola statale, culturalmente pluralista, venga affiancata da scuole libere». Vittadini ricorda che «la parità garantita sul piano giuridico nel 2000 da Luigi Berlinguer non è ancora divenuta parità economica, col risultato paradossale che le famiglie pagano due volte la scuola dei propri figli».Autonome da sempre, le paritarie restano un modello strategico per tutta la galassia scolastica. Per dirlo, don Maurizio Viviani, presidente del Ccsc e direttore dell’Ufficio Cei per la scuola, usa una metafora evangelica: «Come il sale deve dare sapore alla terra, così la scuola cattolica deve essere per l’intero sistema formativo. È il vero investimento che apre il Paese al futuro».
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