giovedì 9 marzo 2023
Le richieste dell’accusa per i sei imputati. Il padre dell’ambasciatore ucciso il 22 febbraio 2021 a Goma: Luca non avrebbe mai voluto
L’istanza della Procura di Kinshasa. Il papà: mio figlio non avrebbe mai voluto vedere uomini giustiziati. Nella foto Luca Attanasio

L’istanza della Procura di Kinshasa. Il papà: mio figlio non avrebbe mai voluto vedere uomini giustiziati. Nella foto Luca Attanasio - Imagoeconomica

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Pena di morte. La richiesta della più dura (e terribile) sentenza è risuonata per sei volte sotto il tendone alle porte di Kinshasa, capitale della Repubblica del Congo, dove si sta tenendo il processo per l’uccisone dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo, uccisi in una imboscata a Goma il 22 febbraio 2021. La pubblica accusa del tribunale militare ha chiesto la pena di morte per i cinque imputati alla sbarra e per il loro capo, latitante. La richiesta, anche se accolta, potrebbe però non essere eseguita visto che da 20 anni nel Paese africano vige una moratoria di fatto sulle esecuzioni capitali tramutate in carcere a vita. La richiesta comunque, non trova d’accordo la famiglia Attanasio. «Luca era un credente – ha detto il papà Salvatore – non sarebbe mai stato dalla parte della pena di morte, non avrebbe mai voluto vedere degli uomini giustiziati». «Le vittime sono state rapite e trascinate nel profondo della foresta prima di essere uccise », ha argomentato il procuratore militare, il capitano Bamusamba Kabamba, nella requisitoria. Già per sabato è prevista l’arringa della difesa.

Durante le udienze, l’accusa aveva presentato gli imputati come componenti di una “banda criminale” dedita alle rapine lungo le strade. I malviventi, secondo la ricostruzione emersa durante il processo, inizialmente non intendevano uccidere l’ambasciatore, ma solo rapirlo e poi chiedere un milione di dollari per il suo rilascio. Gli imputati hanno negato un loro coinvolgimento ritrattando le iniziali ammissioni. A determinare la richiesta pena di morte sono state le accuse di “associazione a delinquere” e “omicidio volontario”.

Agli imputati il pubblico ministero ha ascritto anche il reato di “porto illegale di armi da guerra”, per il quale vengono comminati 20 anni di reclusione e che ha giustificato il ricorso al tribunale militare. La parte civile non ha formulato richieste di pene detentive ma solo la condanna per i danni subiti dallo Stato italiano e dalla famiglia. Nel primo caso si tratta di un per ora non meglio precisabile “apprezzamento equitativo”, quindi a discrezione del giudice; mentre per i familiari sono stati chiesti 60 milioni di dollari a carico degli imputati: una richiesta che appare più formale che reale presumendo l’impossibilità che i criminali dispongano di una cifra del genere. Attanasio, 43 anni, fu ferito a morte da colpi di arma da fuoco in un’imboscata tesa da criminali a un convoglio del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) con cui viaggiava ai margini del Parco nazionale dei Virunga, nella provincia di Kivu Nord, area ad alto rischio da tre decenni. In Italia è fissata al 25 maggio prossimo l’udienza preliminare del procedimento che vede imputati due dipendenti del Programma alimentare mondiale dell’Onu, Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, cui la Procura di Roma contesta il reato di omicidio colposo quali organizzatori della missione. «Ed è da questo processo – conclude papà Salvatore – che io mi aspetto la verità su quanto accaduto».

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