martedì 31 marzo 2009
I Comuni sede delle vecchie centrali chiedono che si individui al più presto un deposito per le scorie. E alcuni gruppi industriali sono insoddisfatti. Il governo: i nuovi impianti? Discussione prematura Siglato un accordo con Parigi per la realizzazione di quattro reattori, ma il disegno di legge delega è fermo. Tempi lunghi per i criteri di localizzazione.
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I fantasmi del passato rischiano di imprigionare più a lungo del previsto i sogni nucleari del governo italiano. Nonostante l’accordo siglato con la Francia lo scorso mese di febbraio, che prevede grazie all’accordo tra Enel ed Edf la realizzazione di quattro nuovi reattori entro il 2020, sui territori che ospitano i vecchi impianti e nei palazzi della politica è come se tutto si fosse fermato. Il disegno di legge delega approvato alla Camera è bloccato al Senato ed è probabile che i decreti che dovrà emanare il governo per fissare i criteri di localizzazione delle nuove centrali e per procedere al riassetto istituzionale e normativo ( necessario dopo vent’anni di stop) arriveranno non prima della fine dell’anno, mentre erano attesi per l’estate. Le ragioni non risiedono solo nell’agenda del Parlamento, che in questi mesi ha dovuto far fronte ad altre priorità, a partire dalle misure anti- crisi. C’è dell’altro: i Comuni sede di servitù nucleari chiedono prima di tutto che si chiudano i conti con il passato, individuando un deposito unico nazionale per i rifiuti prodotti dalla stagione terminata con il referendum del 1987. E mentre le Regioni aspettano di capire quale sarà il loro ruolo, sollevando nella maggior parte dei casi critiche e obiezioni, tra i grandi gruppi industriali c’è chi si dice già insoddisfatto per il mancato coinvolgimento nella partnership tecnologica. Le domande dei territori. «Siamo a un punto di non ritorno» , avverte Fabio Callori, sindaco di Caorso e presidente della Consulta dell’Anci che riunisce i Comuni che ospitano impianti nucleari. «Lo abbiamo detto chiaramente al governo: servono certezze sui tempi e sulle modalità di realizzazione del sito unico di stoccaggio delle scorie» . In gioco c’è l’individuazione di una località in cui si possa creare un deposito superficiale per rifiuti a bassa e media attività, con a fianco un’area per lo stoccaggio dei rifiuti ad alta attività. Non sarà dunque un altro caso Scanzano Jonico, il centro lucano prescelto dall’esecutivo Berlusconi nel 2003, ritenuto allora ideale proprio dal punto di vista delle caratteristiche geologiche. La rivolta della comunità locale ha portato in questi anni a un ripensamento delle modalità per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, ma non all’identificazione del posto giusto, « anche se il governo ci ha promesso che nessuna decisione verrà presa sulla testa degli enti locali » , aggiunge Callori. Fonti del ministero dello Sviluppo economico spiegano che « sul deposito unico, i ritardi attuali potrebbero essere colmati attraverso un dialogo con la Conferenza permanente Stato- Regioni, avendo come orizzonte temporale la fine dell’anno » . Tutto rimandato a dicembre, dunque. L’ipotesi di Montalto di Castro. «Non si può ricominciare col nucleare come se nulla fosse – osserva Paolo Gozzi, sindaco di Ispra, nel Varesino, dove esistono due impianti di ricerca –. Prima occorre trovare una soluzione per archiviare definitivamente il passato». È necessario cioè chiudere una pagina, prima che venga riaperta ( e magari riscritta) un’altra. «Se credono di poter rifare il nucleare in casa nostra si sbagliano di grosso. Piuttosto vado a incatenarmi davanti al ministero » , risponde il sindaco di Sessa Aurunca, Luciano Di Meo, a chi gli chiede se è vera l’ipotesi da molti accreditata secondo cui la nuova mappa del nucleare ripartirebbe da dove si è interrotta. «Per quanto riguarda la centrale del Garigliano –continua Di Meo –, l’intenzione è quella di azzerare tutto e tornare al prato verde. Abbiamo già dato». Lo scenario di un’Italia nucleare che, a distanza di vent’anni, ricalchi quella anni Ottanta, è escluso anche dal sindaco di Caorso, che parla di « centrali la cui autorizzazione è ormai decaduta e che non possono tornare a produrre energia » . Riaffiora, invece, al di là delle disponibilità di massima arrivate da due Regioni come Sicilia e Veneto, la possibilità di riconvertire la centrale di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo. « A oggi è il sito più probabile » , conferma una fonte tecnica autorevole. « Una discussione sui siti è assolutamente prematura » precisano invece dal ministero dello Sviluppo economico. Passi in avanti con la chiusura. Il punto è che questi Comuni, veri laboratori sociali per comprendere che cosa succede in una comunità quando una centrale atomica prende spazio e forma « nel tuo giardino » , stanno facendo passi decisivi, ancorché non definitivi, nell’operazione di smantellamento definitivo dei vecchi impianti. Il cosiddetto decommissioning «è a buon punto» , osserva Callori. «Nella scansione dei lavori, lo stato di avanzamento, che era fermo per Caorso al 6% nel 2005, raggiungerà il 36% nel 2011 e oggi siamo già a quasi il 20%» . Secondo la Sogin, cui spetta la messa in sicurezza, la prima centrale ad essere definitivamente smantellata sarà quella di Trino Vercellese, nel 2013. « Nel frattempo – osserva il primo cittadino di Ispra – c’è tempo per ragionare con le popolazioni locali che saranno coinvolte, come è avvenuto positivamente qui da noi » . L’importante è che non accada quel che è successo a Nardò, piccolo Comune pugliese indicato a metà marzo dalle cronache locali come sito probabile per un nuovo reattore. Comunità in subbuglio, enti locali in rivolta e popolazione sul piede di guerra. La verità? Il progetto non era nemmeno sulla carta e puntuali sono arrivate le smentite. Troppo poco, tuttavia, per evitare il ripetersi di scene già viste.GALAN / REGIONE VENETO «Noi siamo pronti e disponibili. Servono incentivi e sanzioni»Presidente Giancarlo Galan, il Veneto è tra le poche Regioni che hanno già dato una disponibilità al governo. È preoccupato per il rallentamento in atto sulla tabella di marcia iniziale?«Sono più preoccupato da un Paese che continua a essere gravato da una cultura antimoderna. Il caso della Francia ha dimostrato che l’energia nucleare è sicura e che lo sviluppo del Paese può passare anche da qui. Invece noi rischiamo di rimanere afflitti per sempre dalla sindrome di Scanzano Jonico. Per questo dico che il governo dovrà avere una determinazione straordinaria per passare dalle parole ai fatti. Quando si decide di fare qualcosa di importante e di serio come il nucleare, che richiede peraltro tempi lunghi, è grave perdere anche un minuto».Per quanto vi riguarda, la scelta di Porto Tolle è un’ipotesi ancora in campo? Ne esistono altre?«Secondo i nostri tecnici, le caratteristiche di Porto Tolle non sono adatte per la costruzione di una centrale. Ma se ci fossero altri siti ritenuti idonei nella nostra regione, non potremmo che essere favorevoli. Con le royalties provenienti dalla vendita dell’energia prodotta da un impianto nucleare, potremmo avere una bolletta meno salata, con vantaggi per le nostre piccole e medie imprese e per le famiglie».Non crede che, al di là dei ritardi attuali, sia mancata anche una campagna di sensibilizzazione e comunicazione specificamente mirata ai singoli territori?«È sempre utile aprire un dialogo, confrontarsi e ascoltare le popolazioni. Però a un certo punto si deve decidere. Vuole un esempio? Solo grazie alla nostra cocciuta volontà politica, due opere di grande rilevanza per la nostra regione come il Passante di Mestre e il Mose hanno potuto fare giganteschi passi in avanti. Lo stesso deve avvenire con le infrastrutture energetiche: non a caso l’unico nuovo terminale di rigassificazione avviato in questi anni è quello di Rovigo».Una politica decisionista che conseguenze può avere per lo sviluppo del nucleare nel nostro Paese?«Penso a un Piano nazionale dell’energia che preveda incentivi molto forti per chi ospita le future centrali e sanzioni per quei territori che dicono «no». Molti miei colleghi governatori ormai sono ostili a tutto, dalle grandi opere al piano casa. Invece occorre dare fiducia: in Italia vi sono casi di Comuni e pubbliche amministrazioni virtuose che in vista di questa sfida vanno responsabilizzati».MARRAZZO / REGIONE LAZIO «Diciamo un forte no. Puntiamo su fonti rinnovabili e risparmio»Presidente Piero Marrazzo, lei a nome della Regione Lazio ha da subito espresso parere contrario alla riapertura del dossier: perché? Quali sono le vostre priorità in materia di politica energetica?«Qualcuno ha provato a forzare la nostra posizione e ad annoverarci tra quelli del "partito del no". Ma l’unico "no" è quello che dice il governo alle nuove tecnologie, su cui stanno puntando tutti i grandi Paesi del mondo, dagli Usa alla Germania. Noi non seguiremo il governo perché nel Lazio non abbiamo alcun bisogno del nucleare, una tecnologia obsoleta, costosa, dai tempi lunghissimi di realizzazione. Abbiamo messo a punto un Piano energetico basato su fonti rinnovabili e risparmio energetico, che renderà autosufficiente il Lazio e che sarà anche un importante volano per la nostra economia».Più in generale, quale ruolo immagina possano avere le Regioni in uno scenario di ritorno al nucleare?«Il parere delle Regioni è determinante. E non lo dico io, ma la nostra Costituzione. Stiamo vedendo proprio in questi giorni, sul cosiddetto "piano casa" del governo, che su alcuni grandi temi ormai c’è l’esigenza di concordare le scelte nazionali con i territori. Soprattutto se in gioco ci sono settori come l’energia che, anche a livello costituzionale, sono concorrenti tra Regioni e Stato».Montalto di Castro è una tra le ipotesi in campo secondo i tecnici. Intendete opporvi? E in che modo?«Abbiamo altre idee su come utilizzare i 4 miliardi che verrebbero investiti nell’ipotetica centrale nucleare di Montalto di Castro. Di fronte a un investimento del genere, per un sito nucleare che ha una vita di circa un secolo, con 10 anni di costruzione, 60 di esercizio e 30 di smantellamento, noi scegliamo un’altra strada. Le rinnovabili in un anno possono essere operative».L’opinione pubblica della sua Regione come considera l’opzione nucleare?«Circolano dati discordanti sull’opinione degli italiani in merito al nucleare. Il problema del consenso però è determinante, perché quando si impongono scelte dall’alto si rischiano di creare frizioni che poi, inevitabilmente, ricadono sui territori e sulle piccole comunità. Proprio nel Lazio abbiamo affrontato un processo lungo e doloroso per la riconversione di una centrale a carbone. Ora vorrebbero creare un nuovo terreno di scontro con la nostra comunità. Io difenderò le scelte prese in nome della comunità del Lazio».
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