martedì 9 aprile 2024
Luca Illitterati insegna all'Università di Padova: insensato il boicottaggio degli atenei verso Israele, molti rettori si genuflettevano a Pechino ma nessuno parlò di diritti
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«Boicottare gli atenei israeliani significa demolire ancora di più la parte liberale di questo Paese» dice Cédric Cohen-Skalli dall’Università di Haifa, dove si trova e dove insegna Filosofia dell’Ebraismo moderno. Per Cédric, «sono proprio i professori e gli studenti quelli che conoscono di più la reale situazione dello Stato ebraico: qui gli atenei rappresentano la prima linea di chi vuole mantenere livelli alti di democrazia e convivenza, anche tra le diverse anime religiose». Il racconto di chi, da ebreo, fa lezione a una platea di studenti che per metà è palestinese dice già tutto sugli sforzi che, anche in Medioriente, si fanno per arginare l’ondata d’odio scatenata dall’azione terroristica di Hamas il 7 ottobre scorso e proseguita con la reazione sproporzionata di Tel Aviv su Gaza nei mesi successivi. «La risposta militare ci voleva, ma distruggere un’organizzazione come Hamas è più un sogno che un progetto politico – spiega il professor Cohen-Skalli -. Le tensioni si respirano anche qui, ovviamente, ma il nostro ruolo, così come quello delle università italiane, penso sia quello di trovare punti di contatto tra le comunità, piuttosto che allargare la frattura che già c’è». È il rischio sotteso a tante petizioni lanciate in questi mesi: quello di polarizzare sempre più l’opinione pubblica.

A Padova, uno dei primi accademici ad opporsi all’appello degli intellettuali è stato nel novembre scorso Luca Illitterati, ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Padova. «Quando c’è di mezzo Israele succede sempre qualcosa di strano, di eccessivo, qualcosa che ha a che fare con l’odio, quasi si trattasse di un riflesso condizionato» da parte delle società occidentali. Illitterati ritiene che oggi Israele stia facendo «le peggiori nefandezze a Gaza», ma ciò non toglie, come scriveva mesi fa sul blog “Le parole e le cose”, che tra gli elementi determinanti dell’attuale crisi non si nomini, nei discorsi e nei messaggi che circolano tra accademici, «la necessità di Israele, ma solo le condizioni di oppressione di cui Israele è responsabile nei confronti del popolo palestinese». È il fantasma dell’antisemitismo che sembra nascondersi in una parte minoritaria, ma presente, degli intellettuali italiani ed è proprio questo ciò che spaventa la maggioranza silenziosa, fatta di professori e studenti che frequentano le stesse aule. Secondo il filosofo che insegna a Padova, «interrompere le collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane è cosa insensata». Anche sul controverso tema del dual use, la possibilità cioè che alcune tecnologie civili vengano utilizzate per fini militari, «ha detto bene la professoressa Susanna Terracini dell’Università di Torino (l’unica a votare contro lo stop alle relazioni accademiche con Israele, nel Senato accademico dell’ateneo, ndr): non esiste conoscenza accademica che non possa essere usata a fini militari».

Resta poi il nodo degli altri fronti geopolitici aperti e spesso dimenticati. «Forse oggi ci si dimentica di quando i nostri rettori si genuflettevano a Xi Jinping: nessuno allora poneva problemi di carattere etico, forse anche perché la Cina era fonte di denaro e affari, indipendentemente dal rispetto dei diritti umani e dalle condizioni di libertà in cui tuttora lavorano tanti nostri colleghi cinesi». L’ultimo aspetto, non irrilevante, del dibattito accademico riguarda la causa palestinese: siamo così sicuri che da questa alzata di scudi anti-Israele, questa causa possa trarre giovamento? «Di certo, il 7 ottobre non è servito a chi sogna una Palestina libera, semmai si è rivelato un boomerang» spiega Cédric Cohen-Skalli. «Il problema è che stiamo aprendo le porte a movimenti islamisti non democratici, che rischiano di fare di Gaza un vessillo islamista» fa eco Illitterati. Nel frattempo, preoccupano i canali d’informazione delle nuove generazioni, dove è presente una forte deriva estremista, che non di rado si ritrova negli slogan dei collettivi di estrema sinistra. «Girano canzoni rap con testi che rilanciano la retorica antisemita – avverte il professore dell’Università di Padova -. Può essere pericoloso perché, ripeto, alla fine ci sono elementi inconsci che entrano in gioco. Se vedo elementi di conflittualità da parte dei ragazzi? Forte dialettica sì, aggressività no. Le università devono restare dei luoghi in cui creare forme di relazione tra i Paesi e tra i popoli, in nome di una conoscenza che sorpassa le barriere».

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