domenica 8 settembre 2019
Assunzioni, programmi e risorse: la scuola chiede nuova attenzione
Foto Ansa

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Vuole «cambiare l’Italia», a partire dalla scuola e ha già la scrivania «piena di questioni da affrontare: dai precari alla legge di bilancio ». Ed è pronto a dimettersi se, entro Natale, non si troveranno almeno «due miliardi per la scuola e uno per l’università ». È partito di slancio, il nuovo ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, consapevole che sono davvero tanti i nodi da sciogliere in un settore, quello dell’istruzione, a cui, per la verità, il programma di governo giallo-rosso non dedica che poche righe.

In particolare, al punto 22: «Occorre tutelare – si legge – i beni comuni, a partire dalla scuola pubblica ». L’auspicio è che l’aggettivo “pubblica” sia inteso nel senso che ad esso viene dato dalla legge 62 del 2000. Cioè della funzione “pubblica” della scuola, sia essa statale che paritaria. Se così non fosse, si farebbe torto ad una “gamba” importante dell’unico sistema nazionale di istruzione, quella della scuola non statale, che è formata da poco meno di 13mila scuole e quasi 900mila alunni. Il cambio di governo può rappresentare anche la grande opportunità di realizzare un vero mutamento di passo, anche in un settore abbastanza refrattario ai cambiamenti, come la scuola. E di motivi ce ne sono milioni, tanti quanti gli italiani che non hanno avuto un esito felice del proprio percorso scolastico.

I “numeri” li ha messi in fila la rivista specializzata Tuttoscuola, in un dossier a beneficio del decisore politico: il 39% degli italiani nella fascia d’età tra i 25 e i 64 anni non possiede un titolo di studio superiore alla terza media; il 30% è analfabeta funzionale, il doppio della media europea; in terza media, il 35% degli alunni, stando ai dati Invalsi, non è in grado di comprendere un testo in italiano; anche alle superiori, un alunno su tre ha problemi con l’italiano. C’è poi l’enorme buco nero della dispersione scolastica, in cui finisce più del 20% degli alunni.

Un disastro non soltanto educativo ma anche economico, visto che la formazione degli alunni che non portano a termine il percorso scolastico, costa almeno 3 miliardi all’anno. La scuola che verrà dovrà tenere conto anche dell’inevitabile calo delle iscrizioni, conseguenza dell’inverno demografico che, non da ora, interessa il nostro Paese. Tuttoscuola stima che l’Italia del 2030 avrà un milione e 300mila studenti in meno e, di conseguenza, meno aule occupate e meno personale. Tra dieci anni, inoltre, il 40% degli insegnanti sarà rinnovato, forze fresche che possono essere le avanguardie di un reale «cambio di mentalità e di ambiente che sembra indispensabile », sottolinea il dossier di Tuttoscuola.

Un altro tema spinoso, per il neo ministro, è quello dei precari. Il precedente governo aveva varato un decreto per stabilizzarne 60mila, finito poi nel limbo della crisi e che Fioramonti ha già annunciato di voler recuperare. Anche per curare la “supplentite”, malattia cronica del nostro sistema di istruzione. Le stime dicono che, anche quest’anno, i supplenti saranno almeno 170mila e, se il decreto non dovesse andare in porto, nel 2020 arriveranno a toccare la cifra monstre di 200mila. Problemi di personale anche per le segreterie. Il concorso per Dsga (Dirigente dei servizi generali e amministrativi) è ancora in corso e i 2.400 nuovi assunti entreranno in servizio non prima del 2020-2021. Così, su 8.400 istituzioni scolastiche, ben 3mila, secondo i sindacati, continueranno ad avere dei direttori amministrativi “reggenti”.

E non va meglio sul versante del personale di segreteria fortemente sottodimensionato. Il problema, quest’anno, è aggravato dai nuovi pensionamenti favoriti dalla cosiddetta “Quota 100”, di cui appena il 40% è stato sostituito con nuove assunzioni.

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