martedì 28 gennaio 2020
Svastiche e scritte inneggianti al nazismo apparse di colpo sui muri del Parini, e l’attacco personale
La scritta sul muro del liceo Parini di Milano con gli oltraggi nei confronti del giovane Arthur

La scritta sul muro del liceo Parini di Milano con gli oltraggi nei confronti del giovane Arthur

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Arthur si aggiusta la felpa e fruga nelle tasche alla ricerca di qualcosa che abbia un senso per la sua generazione, come la speranza in un futuro senza odio. È nervoso, perché dopo il film sul “calciatore deportato”, Ferdinando Valletti, tocca a lui: dovrà parlare alla folta platea dei suoi coetanei liceali per ricordargli di un «fattaccio » accaduto di recente e che lo ha profondamente ferito. Chi ascolta, per caso, e gli anni del liceo li ha archiviati nel cassetto dei ricordi degli anni ’80, chiude gli occhi e riascolta la voce di un piccolo eroe esemplare di questo nostro strano Paese. «Il passato è passato, ma il presente, da cui dipende strettamente il futuro, non può essere ignorato. Quest’ignoranza rappresenta un vero pericolo...».

Così scriveva un illustre ex studente del Liceo Classico Parini di Milano, il giornalista Walter Tobagi, ucciso nel 1980, a 33 anni, da un attentato rivendicato dai terroristi di estrema sinistra appartenenti alla Brigata XXVIII. E quel grido di allarme contro l’ignoranza fonte di «pericolo», lanciato da Tobagi, quarant’anni dopo riaffiora sui banchi e rimbomba nell’aula magna del Parini nel “Giorno della Memoria”. A dare voce all’urgenza di smetterla con le «parole dell’odio », invocata dalla senatrice a vita Liliana Segre (una “salvata” dall’orrore di Auschwitz) è un allievo della quarta liceo.

Arthur Goldstein Bolocan Schmitz, 17 anni, ebreo, prende coraggio e microfono in mano con il piglio da rapper, stile Rancore, racconta il «fattaccio» accaduto il 9 giugno scorso. Svastiche e scritte inneggianti al nazismo apparse di colpo sui muri del Parini, e l’attacco personale: «Arthur: trema il fascio è qui per te». Le indagini della Digos, con l’ausilio delle telecamere e le informazioni fornite dal ragazzo hanno prontamente individuato i responsabili. Si tratta di tre coetanei, «non studenti del Parini – spiega Arthur – . Perché l’hanno fatto? Non c’è un motivo... Uno di loro ha frequentato lo stesso istituto in cui andavo alle medie e a volte mi aveva rivolto delle battute pesanti e inopportune, ma non gli avevo dato molto peso.

Oggi sono cresciuto e non posso non difendere la Memoria e le vittime dell’Olocausto. Da mia nonna ho appreso che nella nostra famiglia, sia nel ramo italiano che in quello moldavo, abbiamo avuto parenti che sono stati deportati a Mauthausen e in altri lager nazifascisti e non sono più tornati». Arthur invita tutti «a informarsi, a studiare la “Storia” e ad avere il coraggio di testimoniare e denunciare». Come ha fatto Davide Rossi, quinta liceo, direttore del giornalino che, ai tempi di Tobagi era la spregiudicatissima testata della Zanzara, oggi invece è lo Zabaione.

Arthur, con argomentazioni da ragazzo più maturo della sua età chiede a una «certa destra di smetterla di parlare alla “pancia cattiva” del popolo, disinformandolo e alimentando discriminazione e violenza». Dai politici finora ha ottenuto la solidarietà dell’onorevole Marco Osnato (Fratelli d’Italia) e dell’onorevole Emanuele Fiano (Pd), figlio di Nedo Fiano, ebreo deportato ad Auschwitz, «che ringrazio – dice Arthur – per avermi invitato a parlare prossimamente alla Camera dei Deputati ». Appuntamento a primavera, magari prima dell’udienza del 6 aprile al Tribunale di Milano dove i suoi detrattori dovranno rispondere di minacce aggravate dall’odio razziale.

«Non provo odio verso quei tre ragazzi, ma dai giudici mi aspetto giustizia. Alle istituzioni invece chiedo di far cessare questa ondata individualista che genera divisione e quella che Primo Levi definiva “disumanizzazione”. In altri licei milanesi si avverte forte la minaccia neofascista. E l’adesione di molti ragazzi a certi gruppi politici credo dipenda dall’ignoranza e dal fascino che esercita su di loro l’organizzazione e il senso di onnipotenza che questi gli trasmettono. È una deriva culturale – conclude Arthur – che si può e si deve contrastare, con l’educazione scolastica e familiare e con la giusta informazione. Strumenti che presuppongono l’impegno di ciascuno di noi e la messa al bando dell’indifferenza». Quest’ultima, parola chiave di Liliana Segre che non si stanca di ripetere: «L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo». E Arthur, tutto questo a 17 anni purtroppo lo sa già.

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