mercoledì 20 luglio 2011
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Mentre i medici di Bologna decidono se e come intervenire sul drammatico caso delle piccole siamesi, sorge spontanea una domanda che giriamo a Michele Aramini, 58 anni, sacerdote e autorevole bioeticista.Sarebbe moralmente lecito un intervento chirurgico che vedesse, già in partenza, la prospettiva di sacrificare una di queste due persone? Per poter dare una risposta puntuale, bisognerebbe conoscere attendibilmente il quadro clinico reale, le oggettive prospettive di sviluppo e di crescita di questi due organismi. Infatti, in base a tali prospettive, cambia anche la risposta. Se si accertasse che le due gemelle possono in qualche modo restare in vita e convivere unite, allora un intervento di separazione – tanto più comportante l’uccisione dell’una o dell’altra – si configurerebbe come una scelta totalmente illecita dal punto di vista umano e morale. L’altra prospettiva?Viceversa, se si appurasse che – restando unite – la vita per queste due neonate sarebbe impossibile, che c’è il rischio di morte per entrambe, per l’intero organismo gemellare, ecco allora che la questione assume un carattere etico completamente diverso. In questo caso, intervenire per salvarne almeno una sarebbe lecito, perché si tratterebbe di un provvedimento salvifico, sia pur in parte. Di fronte alla certezza della morte di entrambe le sorelle, la scienza medica dovrebbe tentare di salvarne almeno una: la liceità dell’opzione terapeutica deriverebbe dal fatto evidente che, in assenza di operazione chirurgica, avremmo la morte sicura di entrambe le persone, quindi un danno maggiore. Ma in questa circostanza, non può essere il medico a decidere arbitrariamente, a priori, chi "sopprimere": deve deciderlo la condizione del malato. Il soccombere di una delle due dovrebbe essere "dettato" dalle oggettive condizioni di salute».
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