Un barchino di migranti si avvicina alle coste italiane - Ansa
La prima settimana di aprile ha fatto segnare un record di sbarchi di immigrati, più del doppio rispetto al 2023, anno che ad aprile aveva riscontrato un aumento di quasi dieci volte rispetto al 2022. E con gli sbarchi arrivano anche i naufragi, come quello di mercoledì sera con 9 morti e un numero imprecisato di dispersi. Numeri, quelli di questi giorni, che evidentemente si scontrano con le dichiarazioni entusiaste del governo Meloni sul successo degli accordi con la Tunisia. Anche perché quasi la totalità delle imbarcazioni arrivate ad aprile sono partite proprio dalla Tunisia.
Così il Consiglio dei ministri di martedì, come si legge nel comunicato, «ha deliberato la proroga di sei mesi dello stato di emergenza già deliberato in conseguenza dell’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso sul territorio nazionale attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo». Certo il totale degli sbarchi di quest’anno continua a essere molto inferiore rispetto al 2023 (ma superiore al 2022), ma la differenza si sta rapidamente riducendo. A fine febbraio erano meno di un terzo, a fine marzo molto meno della metà, oggi, dopo i primi dieci giorni di aprile, sono abbondantemente più della metà e molto più del doppio del 2022. Più degli accordi contano le condizioni meteo marine, le scelte dei trafficanti di esseri umani (e di chi li protegge), le “carte” da mettere sul tavolo di nuove trattative con l’Italia e la Ue, e la pressione delle rotte migratorie. Così nei primi 8 giorni di aprile sono giunte sulle coste italiane 4.229 persone, alle quali vanno aggiunte le 55 fatte sbarcare a Livorno a bordo della Ocean Viking e le 202 a bordo della Life Support olligate a sbarcare a Ravenna. Arriviamo così a 4.485, rispetto alle 1.992 dello stesso periodo dello scorso anno.
A preoccupare non sono solo i numeri ma soprattutto la ricomparsa dei pericolosissimi barchini in ferro che i trafficanti tunisini riempiono all’inverosimile di migranti subsahariani, senza giubbotti di salvataggio. E che, quasi certamente, vengono trainati da “navi madri” che poi rientrano in Tunisia dopo averli lasciati a metà strada da Lampedusa. Certo il tempo buono e soprattutto l’assenza di vento favoriscono questi viaggi e ora bisognerà vedere con le condizioni meteo marine in peggioramento, con vento molto pericoloso per questi barchini così instabili. E infatti è arrivato il primo naufragio coi primi morti e dispersi. Ma l’altra condizione di rischio, di fronte all’aumento delle partenze, è il fermo amministrativo deciso dalle autorità di ben tre imbarcazioni delle Ong, la Geo Barents, la Sea Eye 4, la Mare Jonio, mentre la Sea Watch 5 e la Humanity 1 sono state “liberate” dalla magistratura. Per tutte le accuse erano di aver ostacolato la cosiddetta guardia costiera libica, particolarmente attiva in questi giorni nel respingere le barche dei migranti, fino a utilizzare le armi contro le stesse Ong.
Intanto nel fine settimana la Guardia costiera tunisina comunica di aver “soccorso” 2.688 migranti, quasi tutti subsahariani, e recuperato 13 cadaveri, sequestrando 80 imbarcazioni. La conferma che i flussi dalle coste tunisine non si fermano, mentre giungono notizie di barche pronte a partire da Turchia e Cirenaica, lungo la rotta jonica, da tempo ferma. Probabilmente l’effetto dei drammi in corso in Medioriente. Mercoledì la prima conferma col naufragio davanti all’isola greca di Chios di un barcone proveniente dalla Grecia. Morte tre sorelline afghane di 5, 7 e 10 anni che viaggiavano con la mamma che invece si è salvata assieme ad altri 19 profughi. Il 26 ottobre 2021 proprio nei pressi dell’isola di Chios era affondato un altro barcone. In quell’occasione erano morti ancora bambini, quattro, tra 3 e 14 anni, mentre 22 persone erano state salvate. Lo scorso 15 giugno, sempre in acque greche, davanti alla baia di Pylos, era naufragato un barcone con 750 persone dirette in Italia: 79 morti, 104 sopravvissuti, centinaia di dispersi, in gran parte bambini come gli ultimi tre di questa rotta che sta tornando ad affollarsi.