venerdì 29 giugno 2012
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Tra le tante contraddizioni che affliggono la vita in famiglia, ci sono anche le diverse valutazioni a proposito delle piccole inefficienze del corpo. Una vista un po’ debole che ci costringe a inforcare gli occhiali non crea, nella maggior parte dei casi, alcun tipo di imbarazzo. Diverso il discorso per l’udito. Vedere male è socialmente permesso, sentire poco no. L’apparecchio acustico non né trendy, né bello da vedere. L’ipoacusia non è solo una brutta parola dal punto di vista dell’eleganza fonetica, ma indica un reale problema di sanità pubblica con tante sfaccettature. Innanzi tutto è una situazione più diffusa di quanto si pensi. Soltanto in Italia, tra la popolazione oltre i 60 anni, riguarda almeno un milione di persone. E occorre considerare che la cosiddetta "ipoacusia fisiologica dell’anziano" è disturbo invalidante, perché isola progressivamente chi ne è affetto, abbassa la qualità della vita, rende più complesse e via via meno soddisfacenti le relazioni personali.Sono tanti gli anziani che si rassegnano a guardare la tv accontentandosi delle immagini, oppure che non utilizzano più il telefono. Eppure basterebbe poco per sentire meglio. Il mercato offre apparecchi acustici sempre più efficienti e ormai quasi invisibili. Ma, tra coloro che ne avrebbero necessità, solo il 9 per cento si decide per l’acquisto. Anche in questo caso siamo la cenerentola d’Europa. La stessa percentuale infatti sale al 16% in Francia e al 46% in Danimarca. Differenze ancora più significative se si guarda al totale degli apparecchi acustici venduti ogni anno nel nostro Paese. Circa 300mila su una popolazione di 60 milioni di abitanti. Mentre in Olanda ce ne sono 250mila, ma con soli 17 milioni di abitanti. Si potrebbe concludere che ad Amsterdam o a Copenaghen gli anziani con problemi di udito sono molto più numerosi che nel nostro Paese. Ovviamente non è così. In Italia, al di là delle barriere culturali, ad ostacolare la diffusione degli apparecchi acustici contribuiscono non poco i prezzi (quasi il doppio rispetto alla media europea) e una legislazione sorda - è il caso di dirlo - alle richieste di chi vorrebbe sentire e quindi vivere un po’ meglio. Da noi il costo di un apparecchio acustico varia dai 700 euro  - modello base - ai 3-4mila euro per un apparecchio micro di tipo digitale.Proprio come gli occhiali, anche l’apparecchio acustico si può ottenere, con prescrizione medica, grazie al Servizio sanitario nazionale. Le Asl, dopo le visite, i timbri e le attese di rito, offrono alla persona affetta da ipoacusia un modello base. Quello che è proprio impossibile da nascondere se non nel caso in cui si disponga di chioma fluente. Ma anche entrare in possesso gratuitamente di questo "auricolare semplificato" targato Asl non è sempre agevole. Innanzi tutto - come prescritto dalla legge - occorre che il deficit uditivo certificato dal medico sia pari o superiore a 65 decibel. Che vuol dire sentirci davvero poco, quasi nulla. Oggi però tutti gli esperti sono concordi nel ritenere che l’udito di una persona che presenta una carenza così rilevante sia quasi irrecuperabile. L’audioprotesi rischia di non servire più. E in ogni caso l’anziano farà molto fatica ad abituarsi al nuovo strumento. Già quando la perdita si assesta sui 30 decibel si comincia a sentire male e si avrebbe quindi la necessità di puntare su una correzione tecnica. Non a caso nel resto d’Europa - per esempio in Francia o in Germania - il limite di deficit uditivo per ottenere un aiuto dallo Stato nell’acquisto dell’audioprotesi è di 35 decibel. Ma non è ancora tutto. Abbiamo detto che in Italia un apparecchio acustico "della mutua" costa circa 700 euro. E che circa il 50 per cento delle audioprotesi presenti nel nostro Paese è di tipo sociale. Occorre anche sapere che da noi questi apparecchi non vengono prodotti. Il 90 % del mercato è rappresentato da un pugno di aziende (3 in Danimarca, una in Germania, una negli Stati Uniti). Il prezzo elevato è quindi determinato essenzialmente da due fattori. Innanzi tutto una filiera lunga che comprende almeno tre passaggi: produttore, distributore e centro acustico. E poi da un mercato chiuso, con un solo distributore che detiene il 45% del mercato e stabilisce di fatto costi e modalità di acquisto. Ad aggravare tutto ci si mette ancora una volta la legge. Il temibile "nomenclatore tariffario" adottato dalle nostre Asl impone per le audioprotesi un prezzo minimo di 700 euro. Vietato spendere meno, anche se questo si tradurrebbe in un vantaggio per i pazienti e, soprattutto, per la spesa pubblica. Ma sarebbe davvero possibile risparmiare? Certo. È infatti capitato che alcuni distributori di apparecchi acustici avviassero una campagna di promozione rivolta a numerose Asl. In sostanza l’offerta era questa: «Possiamo fornire audioprotesi di ottima qualità a 350 euro, con riparazione gratuite per 4 anni». Il risparmio per il Servizio pubblico nazionale sarebbe stato complessivamente di circa 70 milioni di euro. Nessuna Asl ha risposto. Sarebbe stato possibile dimezzare i costi, quindi risolvere il problema della sordità per un maggior numero di persone, quindi introdurre nel mercato un’iniezione di benefica concorrenza, quindi migliorare servizi ed offerte. Niente. Condannati alla sordità. Quella reale, così fastidiosa e invalidante, per chi ne è affetto. E quella del buon senso per la nostra amministrazione pubblica.
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