martedì 18 luglio 2023
Dopo le polemiche sulle parole di Nordio sull'associazione esterna, la premier segnala una sentenza della Cassazione che potrebbe depotenziare l'azione dei pm e annuncia un provvedimento ad hoc
Antimafia, ora Meloni detta la linea: un decreto per salvare i processi

ANSA

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L’obiettivo è scrollarsi di dosso l’accusa, insopportabile per Giorgia Meloni, di voler scardinare la legislazione antimafia che ha tra i padri fondatori Falcone e Borsellino, i suoi due miti di gioventù. E così, dopo la domenica passata a correggere la linea del ministro della Giustizia Carlo Nordio sull’associazione esterna, ieri la premier ha piazzato un colpo a sorpresa in un Consiglio dei ministri che non aveva la giustizia all’ordine del giorno. La presidente del Consiglio, spiega Palazzo Chigi, ha sottolineato ai ministri l’importanza delle implicazioni di una sentenza della Corte di Cassazione del 2022, che se non interpretata tempestivamente, potrebbe «comportare l’inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito sulla base dell’interpretazione precedente, che consentiva l’utilizzo degli strumenti previsti per la lotta alla criminalità organizzata anche in assenza della contestazione del reato associativo».

In Cdm Meloni prende la parola a lavori appena iniziati: «Se fino a poco tempo fa l’interpretazione del concetto di criminalità organizzata era chiaro», la sentenza della Cassazione (la numero 34895 del 2022) «lo ha posto seriamente in dubbio». «La Cassazione ha infatti affermato - cita testualmente Meloni - che possono “farsi rientrare nella nozione di delitti di criminalità organizzata solo fattispecie criminose associative, comuni e non”, con la conseguenza che devono escludersi dal regime i reati di per sé non associativi, come un omicidio», per quanto sia avvenuto con modalità mafiose o per arrecare vantaggio ad un’associazione malavitosa. «In altre parole - prosegue Meloni in Cdm - un omicidio commesso avvalendosi di modalità mafiose o commesso al fine di agevolare un'associazione criminale non sarebbe un delitto di criminalità organizzata, secondo la Cassazione». Il tema trattato dalla Suprema Corte è quello delle intercettazioni ambientali, ma, dice Meloni, «afferma principi di carattere generale». E «principi del genere si prestano a provocare ricadute molto pesanti per il nostro sistema e per la pubblica sicurezza» nonché «effetti dirompenti su processi in corso per reati gravissimi».

Raccogliendo allora l’appello di «diversi tribunali», la premier ha chiesto al ministro Carlo Nordio di provvedere ad una «interpretazione autentica» attraverso un decreto da varare nei prossimi giorni.

Evidente il tentativo della premier: affermare che il governo è al fianco dei magistrati che combattono le mafie e allo stesso tempo dimostrare che persino la Cassazione da tempo si esercita sui confini del concetto di criminalità organizzata, non andando troppo lontana dalle riflessioni fatte da Nordio in questi giorni sull’associazione esterna.

In ogni caso, quello di Meloni è anche un chiaro messaggio a tutto l’esecutivo a evitare qualsiasi sbandata su temi così delicati. Il suo affondo, inoltre, arriva alla vigilia della fiaccolata per Borsellino cui la premier vuole partecipare senza essere inseguita da ombre e accuse.

La sua mossa non è però sufficiente a creare un clima sereno nel governo sul capitolo giustizia. Perché ieri mattina sul “Giornale” Marina Berlusconi, primogenita del Cav., ha scritto una lunghissima lettera in cui ha accusato la magistratura di perseguitare il padre anche dopo la morte e di voler creare una «damnatio memoriae».

Il riferimento della presidente di Fininvest e Mondadori è all’inchiesta della Procura di Firenze sulla stragi del 1993-94. «Ha aspettato giusto un mese dalla sua scomparsa, la procura di Firenze, per riprendere imperterrita la caccia a Berlusconi, con l'accusa più delirante, quella di mafiosità. Mentre nel Paese il conflitto tra magistratura e politica è più vivo e violento che mai». Marina fa anche riflessioni sulle riforme, tema di scontro tra esecutivo e magistratura. E afferma: «No, purtroppo la guerra dei trent’anni non è finita con Silvio Berlusconi. E non riguarda di certo soltanto lui. Perché un Paese in cui la giustizia non funziona è un Paese che non può funzionare». Un attacco a quel pezzo di magistratura che si farebbe «casta» che incassa gli applausi scroscianti di Forza Italia, qualche pubblica difesa del Cav. dalle accuse mafiose da parte di Fdi e il silenzio della Lega, che su questo dossier continua a distinguersi dagli alleati.

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