giovedì 1 gennaio 2009
«Sarà un 2009 duro, è necessario reagire uniti». Berlusconi telefona per congratularsi, consensi da maggioranza e opposizione.
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Consensi bipartisan alle parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del messaggio di fine anno agli italiani. Al Quirinale per congratularsi telefona il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e plaudono i presidenti di Senato e Camera, Reanto Schifani e Gianfranco Fini. Sostegno anche da maggioranza e opposizione, anche se il vero dialogo deve ancora partire. Il ministro per la Semplificazione legislativa, Roberto Calderoli (Lega Nord), dice: «Bravo Presidente, 10 e lode. Dalla crisi possono nascere le occasioni per cambiare e riformare, finalmente, il paese». Il vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello, afferma: «È necessario che il governo continui a fare le riforme, così come il Presidente gli ha riconosciuto, e che l'opposizione collabori più che criticare». Per il capogruppo del Pd alla Camera, Antonello Soro, «è difficile non cogliere la distanza siderale dal tono e dal merito delle parole del presidente del Consiglio» e il vicecapogruppo vicario dell'Udc, alla Camera, Michele Vietti, osserva: «La crisi c'è e ed è inutile fare finta che non ci sia, ma dalla crisi si può uscire: bisogna investire su lavoro e sulle famiglie».Secondo Fini, «il popolo italiano, con grande sforzo di operosità e solidarietà, di cui si è dimostrato capace in tutti i difficili momenti della sua storia», può «superare l'attuale fase critica. Le riforme strutturali, di cui il paese ha estremo bisogno, richiedono una azione di ampio respiro che, necessariamente, deve essere condivisa, con senso di responsabilità, da tutte le forze politiche». Concorda Schifani: «Ci riconosciamo nelle parole del Capo dello Stato, che richiama fortemente tutte le forze politiche all'assunzione di improrogabili responsabilità, per garantire l'indispensabile coesione del paese. In un momento di grandi difficoltà economiche e sociali, occorre accrescere l'impegno di tutti verso una politica di vera solidarietà e, in questo campo, oltre a quella dello Stato, fondamentale è l'azione di altre istituzioni e delle associazioni di volontariato, laiche e cattoliche». IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTEIn un messaggio di fine anno dai toni preoccupati, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitanoha previsto forti difficoltà per l'economia italiana nei prossimi dodici mesi, ha chiesto che il paese compia uno sforzo ricostruttivo paragonabile a quello compiuto dopo la Seconda Guerra Mondiale ed auspicato che la crisi attuale sia lo stimolo per una reazione che porti alla nascita di un'Italia più giusta. Occorre, per raggiungere questo scopo, una nuova stagione di dialogo tra le forze politiche che sappiano avviare le riforme necessarie. Tra i temi che il Presidente ha indicato come le principali priorità l'ordinamento giudiziario, la politica sociale per la tutela del lavoro, la scuola e le esigenze della famiglia. La crisi è senza predecenti. «Si preannuncia un anno difficile», ha messo in guardia Napolitano nel suo messaggio, trasmesso a reti unificate e durato leggermente meno degli anni passati (un minuto), «Facciamo della crisi un'occasione per uscirne con un'Italia più giusta». Per questo, ha sottolineato, «serve un serio sforzo di corresponsabilità tra maggioranza e opposizione in Parlamento per riforme condivise».Il primo pensiero, però, è stato per la difficile situazione internazionale. Napolitano, che negli ultimi mesi si è recato prima in Egitto e poi in Israele, ha parlato senza mezzi termini di «sgomento» per l'offensiva israeliana su Gaza. Un accenno magari di minore consistenza rispetto alle nove cartelle del discorso, ma posto significativamente in apertura del collegamento televisivo. La preoccupazione più profonda, comunque, è per la crisi economica internazionale e sull'impatto di questa sull'Italia.«Sono convinto - ha affermato - che possiamo limitare le conseguenze economiche e sociali della crisi mondiale per l'Italia, e creare anzi le premesse di un migliore futuro, se facciamo leva sui punti di forza e sulle più vive energie di cui disponiamo. A condizione che non esitiamo ad affrontare decisamente le debolezze del nostro sistema». Bisogna fare della crisi «un'occasione per liberarci» delle vecchie incrostazioni, a partire «innanzitutto dall'assetto delle nostre istituzioni, al modo di essere della pubblica amministrazione, al modo di operare dell'amministrazione della giustizia». Giustizia, istituzioni e amministrazione: i tre punti portati alla risalta dalle cronache delle ultime settimane. In questo modo dalla crisi potrà «uscire un'Italia più giusta». Socialmente, riducendo «le sempre più acute disparità che si sono determinate nei redditi e nelle condizioni di vita» e rivedendo «un sistema di protezione sociale squilibrato e carente». Migliorando le condizioni della base della società, la famiglia, soprattutto quella numerosa. Di certo nulla è possibile senza «la capacità di unire le forze, di ritrovare quel senso di un comune destino e quello slancio di coesione nazionale che in altri momenti cruciali della nostra storia abbiamo saputo esprimere», ha proseguito. Motivo per cui le forze politiche sono invitate a uscire da «una logica di scontro sempre più sterile» per «guadagnare fiducia mostrandosi aperte all'sigenza di un impegno comune, ed esprimendo un nuovo costume, ispirato davvero e solo all'interesse pubblico» con «un serio sforzo di corresponsabilità tra maggioranza e opposizione in Parlamento, per giungere alle riforme che già sono all'ordine del giorno e che vanno condivise». Abito gessato, cravatta bordeaux, sfondo diverso da quello degli altri anni (la finestra che, dallo studio dove il Presidente lavora quotidianamente, si apre sugli splendidi giardini interni del Quirinale), Napolitano ha chiuso con una citazione. «L'unica cosa di cui bisogna avere avere paura è la paura stessa», ha detto. Autore della frase Franklin Delano Roosevelt. Era il suo discorso di insediamento, nella primavera del 1933. L'America era preda della Grande Depressione, e ne sarebbe uscita solo con il New Deal. Un ennesimo modo per dire che le nazioni depresse devono tirare fuori il carattere, altrimenti si imbocca la via della decadenza.
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