domenica 12 aprile 2009
Parla l’arcivescovo che, come i 40mila sfollati e 40 suoi sacerdoti, dorme in una tenda nel giardino della sorella. «La parabola dei due ladroni vale per tutta l’umanità, chi sceglie Gesù dà un senso alla sua sofferenza. Altrimenti la vita resta un’assurdità, chiusa alla speranza e priva di senso»
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«Uno dei due ladroni resta affasci­nato da come il giovane maestro di Nazareth, che predica l’amore e la vita eterna, riesca ad affrontare la morte sen­za imprecare. Guardando Gesù, dà un senso al­la propria sofferenza e prega: ricordati di me quando sarai nel tuo Regno. L’altro no, per lui la vita resta un’assurdità chiusa alla speranza e pri­va di significato. E bestemmia fino all’ultimo. Ec­co, per me questa è la parabola di tutta l’uma­nità ». Monsignor Giuseppe Molinari cerca una chiave di lettura – alla luce della fede in Cristo – a que­sta Pasqua abruzzese sfregiata dalla morte e dal­la distruzione. Alla vigilia della Domenica di Re­surrezione, che celebrerà con gli aquilani nella tendopoli di piazza D’Armi e poi coi volontari alla scuola allievi della Finanza, l’arcivescovo del­l’Aquila ragiona a voce alta sulla morte, sul do­lore, sul rapporto tra uomo, Dio e natura dopo il peccato originale. Per il pastore sono giorni di la­voro pastorale frenetico e instan­cabile. Anche la curia vescovile è inagibi­le. E monsignor Molinari, come 40 suoi preti e i 40mila sfollati, dorme in una tenda nel giardino della so­rella. «Gesù ci ha detto che solo se il chicco di grano cade in terra e muore dà molto frutto. Ma questo si scontra con la logica umana, perché nessuno accetta che dalla morte possa nascere la vita. Solo se si guarda alla storia di Gesù, passato attraverso la sofferenza, si può capire che il dolore può ave­re una fecondità straordinaria. D’altra parte, tutta la storia dell’u­manità è una Via Crucis di uomi­ni e di popoli». Eccellenza, nelle parole pronun­ciare durante il funerale, lei è riu­scito a ricordare volti e nomi che «porta nel cuore». A chi si riferi­va? Sono alcuni dei tanti aquilani di cui ho conosciuto famiglie e sto­rie personali. Come la moglie e le figlie di Maurizio Cora: la signora Patrizia, di Capri, e le figlie, Ales­sandra che cantava così bene, e Antonella che è morta proprio ve­nerdì al Gemelli. Le avevo battez­zate io. O i figli e il papà di Giusti­no Parisse, di Onna, nonno Do­menico e i ragazzi, Maria Paola e Domenico. A lui dicevo: diventerai un giornalista più bravo di papà. O Claudio Fioravanti e la moglie Franca. La sorella, venuta da Milano, all’obitorio mi ha abbracciato e mi ha detto: «Lo sai, anche Fran­ca... ». Aveva fatto una lettura il 19 marzo, San Giuseppe, quando ho celebrato Messa nella ca­sa di accoglienza delle suore Zelatrici all’Aquila. Citando questi nomi ho inteso evocare per no­me tutti i caduti, tutti e ciascuno. Ovvio che tut­to questo ti prenda, ti coinvolga, che la soffe­renza del lutto che si moltiplichi. E cosa le è rimasto negli occhi, girando in que­sti giorni per le tendopoli? Cosa chiede la gen­te al suo pastore? Molti non dicono nulla, restano in silenzio, ma si legge nei loro volti l’impotenza di fronte a u­na prova così grande. Ma c’è anche chi dice: mal­grado tutto confidiamo nel Signore, che ci aiuti a uscire da questa tragedia. Mi ha colpito una catechista: mi dia una benedizione, mi ha chie­sto, perché ho paura della morte. Abbiamo pre­gato insieme, le ho detto che anch’io ne ho pau­ra, l’ho benedetta e l’ho vista illuminarsi e andare via col sorriso sulle labbra. Tanti piccoli segni di speranza nella fede, perché solo chi crede in Cri­sto riesce a guardare oltre tutti questi lutti. La tragedia del sisma ha anche scatenato una gara di solidarietà. Tutto il Paese, istituzioni e cit­tadini, sta moltiplicando gli sforzi, nonostante qualche disfunzione. È molto bello, è una consolazione vedere que­sta reale gara di solidarietà. È venuto a trovarci il presidente del Senato Renato Schifani con la moglie. L’ho accompagnato alla tendopoli di piazza d’Armi. E una dottoressa è stata molto critica: voi politici venite solo per farvi fotogra­fare, mentre qui mancano le stufe nelle tende. Io ho apprezzato questa visita. Qualcuno a furia di guardare l’albero perde di vista la foresta. È ve­ro, mancano ancora molte cose, ma dobbiamo ringraziare questi nostri fratelli che vengono ad aiutarci. Ri­schiando la vita, come il Vigile del Fuoco di Bergamo morto d’infarto. O anche solo chi spende le proprie ferie. È un fiume di solidarietà. E non notarlo, impuntarsi perché manca qualcosa non mi sembra co­struttivo. C’è stato anche qualche esponente politico locale che ha lanciato critiche al governo denun­ciando secondi fini elettorali. Mi sembra con­troproducente: ora è il momento di stare uniti e non pensare a rivincite politiche. Come vescovo di questa terra, si è chiesto per­ché questa catastrofe è arrivata proprio a Pa­squa? Secondo lei, si può scorgere un disegno – come dire – provvidenziale? Mi ha colpito una frase del Papa, mi sembra al­la Via Crucis del venerdì scorso: c’è un disegno mirato di Dio per insegnarci qualcosa. Dio non ha bisogno delle catastrofi, però può far sì che queste tragedie diventino occasione per riflettere e fare scelte diverse. Per chi si addormenta nel­l’effimero possono diventare un’occasione di grazia. Qualcuno dice che è la natura, e che l’uomo non è che una piccola particella di un ciclo.Al catechismo ci hanno insegnato che cos’è il peccato originale. A volte lo svuotiamo di signi­ficato riducendolo alla storia della mela e di E­va: Mosè doveva spiegare cose grandi a un po­polo di pastori. Ma all’inizio della storia c’è sta­to qualcosa di devastante. L’uomo ha perso la fi­ducia in Dio. Il suo rapporto che era familiare è diventato improvvisamente di timore. E questo si è ripercosso sulla natura. Se Adamo ed Eva a­vessero continuato a fidarsi di Dio e non a pre­stare fede al Serpente, cosa ci impedisce di cre­dere che tra l’uomo e la natura si sarebbe potu­to mantenere un rapporto diverso, sereno e non conflittuale? Dio è rispettoso della nostra libertà, i nostri progenitori hanno scelto il male e noi paghiamo un prezzo. Ma Gesù accettando di morire è andato a snidare la morte dalla propria tana. Un padre della Chiesa ha detto che la mor­te ha ingoiato Dio, che gli sembrava una povera creatura, senza sapere che stava ingoiando la sua fine. La Terra continua a tremare, le case sono di­strutte e la gente piange i suoi morti. Che cosa suggerisce a chi ha paura? George Bernanos dice che Gesù, sudando san­gue nell’orto degli ulivi, con la sua paura ha san­tificato la paura. Anche io, dopo 47 anni di sa­cerdozio, ancora mi avvicino con timore a chi ha perso un figlio. Qualcuno chiede: perché? Qualche altro apprezza che vi sia chi gli si fa ac­canto e l’aiuta a superare il dolore, pregando e credendo alla vita eterna. Ma questo lo capiamo solo se il Signore ci dona la fede. Un poeta cri­stiano dice che la nostra vita è una sillaba di un racconto lungo come tutta l’eternità. Come pos­siamo capirne il significato solo da una sillaba? Con l’umiltà della fede dobbiamo dire: non ca­pisco, ma credo Signore alla tua testimonianza. Chi non crede difficilmente riesce a convivere con l’assurdità della vita. E arriva a rifiutarla. I cri­stiani non hanno le risposte in tasca. Cammi­nano nello stesso tunnel buio assieme a chi non ha fede. Ma noi andiamo avanti, perché credia­mo che in fondo al tunnel c’è la luce.
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