sabato 19 gennaio 2013
​La Corte d'appello di Reggio Calabria ha confermato il provvedimento del tribunale dei minori. L'adolescente è ora in uan comunità. Dopo la morte del padre stava studiando da boss.
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​La parentela è uno dei punti di forza della ’ndrangheta e rende impenetrabili i rapporti tra i cosiddetti uomini di rispetto che spesso non sono solo alleati ma, appunto, uniti da legami familiari, dai quali è più che mai complicato liberarsi. E i figli, come fratelli e cugini, sono segno di forza, di potenza. Poiché possono prendere le redini degli affari criminali se e quando il capo (padre o zio che sia) finisce in carcere o viene ucciso. Per queste e altre ragioni ha un valore aggiunto il provvedimento della corte d’appello di Reggio Calabria in seguito al quale gli agenti dell’ufficio minori della questura sono andati a prendere nella Locride un sedicenne appartenente a una cosca della ’ndrangheta per affidarlo a una comunità lontana dalla Calabria.La decisione dei magistrati è scattata per impedire, dopo la morte del padre, ucciso in un agguato, che l’adolescente continuasse a frequentare la scuola dei pregiudicati. Un provvedimento, sottolineano in questura, che «discende dal tentativo di recupero di giovani, costretti a subire pregiudizio dall’ambiente "mafioso" di provenienza, mediante opportune attività volte alla rieducazione sociale». Gli specialisti della polizia aggiungono che l’allontanamento del sedicenne dalla famiglia-clan e il suo affidamento alla comunità «costituisce un concreto contributo volto ad arginare in via preventiva il fenomeno mafioso agendo sulle condizioni di vita dei giovani ed offrendogli una opportunità alternativa». In coda la precisazione che il provvedimento «non riveste carattere di afflittività e la sua genesi non è data dalla semplice appartenenza a una famiglia "mafiosa" ma è conseguente a una ponderata valutazione di una situazione di disagio e di devianza del minore per rimediare alla quale, in assenza di validi modelli educativi di riferimento, viene offerta un’alternativa culturale per evitarne una definitiva strutturazione criminale». In settembre il caso era stato sottoposto al tribunale dei minori che aveva disposto l’allontanamento, confermato ora in appello.Un caso non isolato che rientra nella linea scelta dal tribunale dei minori di Reggio Calabria che da tempo sperimenta il ricorso a provvedimenti d’urgenza per sottrarre i figli minorenni alle famiglie di ’ndrangheta, affidandoli ai servizi sociali in comunità non calabresi. Puntano a far conoscere a questi ragazzi l’esistenza di altri modi di vivere, più lineari e meno rischiosi. Tra l’altro vengono trasferiti per «inaudita altera parte», cioè senza contraddittorio con le famiglie. Il precedente più rilevante, tra l’altro anch’esso confermato dalla corte d’appello, è riferito ai tre bambini della collaboratrice di giustizia Maria Concetta Cacciola, secondo i giudici usati dai nonni come strumento di ricatto sulla giovane madre, vessata in ogni maniera e costretta prima a registrare un video con una falsa ritrattazione e poi a suicidarsi.
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