giovedì 17 febbraio 2011
L'uscita della Cassazione, poi chiarita dagli stessi giudici, ha offerto lo spunto per tornare a riflettere su un istituto in crisi. L'Aibi: perché non provare ad allargare la platea degli aspiranti genitori? Ciai e Anfaa: inutile.
COMMENTA E CONDIVIDI
Adozioni internazionali. Ba­ratro prossimo venturo. Nel decennio a venire po­trebbero azzerarsi o quasi. Dal 2006 ad oggi le richie­ste delle coppie si sono dimezzate. Se non si riuscisse a fermare il trend la prospettiva di­venterebbe allar­mante. Effetto della crisi? Dei tempi sempre più lunghi per le pra­tiche? Dei costi insostenibili per troppe famiglie che pur sarebbero disponibili? Forse un po’ tutto in­sieme. «Secondo i dati Unicef – spiega Marco Griffini, presidente Aibi, Associazione amici dei bam­bini – ci sono al mondo oltre 160 milioni di bambini abbandonati. Non tutti, certo, adottabili. Ma il bi­sogno è enorme. E dove sono le fa- miglie disposte a prendersi cura di queste situazioni? In Italia le ri­chieste per i primi sei mesi del 2010 sono state poco più di 1.500. E noi siamo tra i primi Paesi al mondo per numero di adozioni». Per que­sto l’altro giorno Griffini, di fronte al dibattito aperto dall’intervento della Cassazione – in parte frainteso da molti media tanto che i giudici sono stati costret­ti a puntualizzare il loro pensiero – si è detto disponibi­le a valutare la prospettiva di un’apertura più larga ai single. «Intendiamoci be­ne, la famiglia con entrambi i ge­nitori – sottolinea il presidente del­l’Aibi – rimane la via privilegiata. La condizione più opportuna per accogliere e far crescere un bam­bino. Ma quando la coppia geni­toriale non si trova, siamo davve­ro sicuri che sia meglio l’istituto, o, molto spesso, la strada per far cre­scere un ragazzino? Non ho tesi precostituite. Dico soltanto che le associazioni – aggiunge Griffini – dovrebbero riflettere attentamen­te, alla luce delle emergenze reali, dei dati che diventano di anno in anno più drammatici. Anche per quanto riguarda l’adozione nazio­nale non dovremmo dimenticare che il numero dei minori fuori dal­la famiglia è passato in pochi anni da 28 mila a 35 mila. E ci sono al­meno 400 ragazzi adottabili subi­to che nessuno vuole. Ma alcuni sono disabili, problematici, oppu­re sono troppo grandicelli». Un quadro complesso che, secondo il presidente Aibi, diventa ancora più intricato a causa dell’elevato nu­mero di enti autorizzati – oltre 60 – all’adozione internazionale. «For­se – conclude Griffini – sarebbe il caso di rivedere la legge per scio­gliere i tanti nodi che oggi impedi­scono a tante famiglie di aprirsi al­l’accoglienza ». Il dibattito, dunque, è aperto. A par­tire dai numeri.Che ci siano «mi­lioni » di bambini abbandonati nel mondo forse sì, ma che ciò equi­valga a «adottabili», proprio no. Lo spiega Valeria Rossi Dragone, pre­sidente del Ciai, il Centro italiano aiuti all’infanzia, uno degli enti au­torizzati 'storici'. «Molti Paesi non sono in grado di definire giuridi­camente lo stato di adottabilità per i bambini e i ragazzi che vivono ne­gli istituti. In più, ormai si tratta quasi esclusivamente di ragazzini grandicelli, con molti anni di per­manenza in istituto, con bisogni speciali se non handicap veri e pro­pri ». Per questi ragazzini non basta una famiglia qualsiasi, ma servono genitori preparati, determinati e con buone risorse di partenza. A­prire ai single potrebbe essere una risposta? La Rossi Dragone rilan­cia: «È un falso problema: non ve­do frotte di single che sarebbero disponibili a questo tipo di ado­zioni, già molto impegnative per due genitori, figuriamoci per uno solo...». Una realtà, al di là dei proclami, se­gnalata anche da Donata Nova Mi­cucci, presidente di un altro ente 'storico' in Italia, l’Associazione famiglie affidatarie e adottive (An­faa). «Alcuni Paesi, come ad esem­pio la Romania, non ammettono l’adozione internazionale. Inoltre, nello spirito della Convenzione dell’Aja, la prima possibilità da e­splorare per i bambini abbando­nati è l’aiuto alla famiglia di origi­ne, in secondo luogo l’adozione nazionale e in terza istanza l’ado­zione internazionale. Aprire le a­dozioni ai single non sposta di u­na virgola la sostanza delle cose – continua Donata Nova Micucci –. Sono i Paesi di origine a stabilire i criteri per le adozioni: quasi tutti richiedono coppie sposate, oltre ad altre condizioni che possono esse­re opinabili ma alle quale bisogna sottostare».La risposta alla preve­dibile crisi delle adozioni interna­zionali, da qui ai prossimi anni, «non sta nell’allargare la platea de­gli aspiranti genitori, che è già so­vrabbondante», ma nella prepara­zione delle coppie, che, come chie­de da anni l’Anfaa, devono essere seguite e accompagnate anche do­po l’arrivo del minore.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: