mercoledì 28 agosto 2019
egione e Università di Padova chiamano il “Mister Dinamite” di Genova, Danilo Coppe, sull’Altopiano ferito dalla tempesta dello scorso ottobre: «Con le microcariche eliminerò le radici dai pendii»
Una delle radici di un albero schiantato sull’Altopiano di Asiago e, accanto, il ceppo di un albero che è già stato tagliato e rimosso

Una delle radici di un albero schiantato sull’Altopiano di Asiago e, accanto, il ceppo di un albero che è già stato tagliato e rimosso

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Dal ponte Morandi di Genova ai larici di Roana, sull’Altopiano di Asiago. Danilo Coppe – ormai soprannominato “Mister Dinamite” – darà fondo alla sua esperienza di “esplosivista” per bonificare i boschi schiantati. Sono passati dieci mesi da quando, tra il 20 ed il 30 ottobre, la tempesta Vaia ha scarnificato 41mila ettari di foreste, abbattendo 14 milioni di alberi. Già all’indomani le imprese forestali erano al lavoro per liberare almeno le strade; sull’altopiano dei 7 Comuni la pulizia è avanti. Così lassù, in Val Visdende, sul confine con l’Austria. Una parte consistente del legname è già in Cina.

Ma i fianchi delle montagne, quelli con pendenze addirittura dell’85%, restano “prigionieri” di tronchi inafferrabili e di ceppaie che rischiano di piovere a valle, su strade e case. Ecco perché il professor Raffaele Cavalli, direttore del Dipartimento di Territorio e Sistemi Agro-Forestali dell’università di Padova, incaricato dalla Regione Veneto di provvedere alla pulizia, vuol tentare un esperimento con Coppe. Polverizzare alberi e ceppaie con l’esplosivo. Se lo si può fare in una situazione complessa come quella di Genova, perché non in una montagna in parte deserta?

«Proviamoci » ha detto Coppe. Il 4 settembre, a Roana, la prima simulazione. «Userò mini cariche di dinamite, da 10, 20, 30, 40, al massimo 50 grammi – ci spiega l’ingegnere geominerario –. Questo è l’esplosivo più adatto in ambienti di montagna, anche quello più compatibile con la natura. Frantumeremo le ceppaie, una ad una, oppure ammucchiandole. Segheremo i tronchi, la dove si deciderà di conservarli quasi interi, oppure li ridurremo in polvere». L’esplosivo, l’Altopiano sa bene cosa sia, fin dalla Prima guerra mondiale, purtroppo. Ma, come tanti montanari sanno, è anche pericoloso. «No, non bombarderemo tutti i boschi, ma – tranquillizza Coppe – interverremo in quelle particolari situazioni dove non potranno penetrare i mezzi meccanici. E dove il forestale con la motosega rischia solo di incorrere in un incidente ».

Più di 8 milioni i metri cubi di legname finito a terra. «Dappertutto non si può intervenire – afferma l’assessore regionale alla Protezione civile, Giampaolo Bottacin –. Ci sono anche dei casi in cui è saggio lasciare che piante e ceppaie marciscano per conto proprio. Ma liberare dagli schianti i pendii che scendono su case e strade, ancorchè protette da barriere, è un dovere per la sicurezza. «Molte sono anche le piante che si trovano in condizione di tensione: incastrate tra altre schiantate al suolo che potrebbero, una volta tagliate, provocare un effetto leva », spiega Coppe. La Regione, in ogni caso, deciderà dopo le simulazioni dei primi di settembre. E farà anche un po’ di conti: i costi, infatti, sono elevati. Ma i conti sono anche ambientali, asserisce Luigi Bombassei De Bona, di Auronzo, ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo.

Non è un ambientalista, ma un perito balistico esplosivista. Bombassei non è contrario a questa metodologia, ma raccomanda prudenza. Anzitutto perché sull’Altopiano e su altre montagne intorno è da considerarsi la probabile presenza di ordigni bellici risalenti al primo conflitto mondiale. «Inoltre, pur utilizzando esplosivi a base di azoto, questi sarebbero attivati da un detonatore con all’interno metalli pesanti e nocivi (azotidrato o stifnato di piombo) e pentrite che, vista la quantità di microcariche (migliaia), sono un fatto da considerare. E anche lo stesso azoto presenta comunque delle problematiche, sia sulla salute che sull’ambiente».

A partire dal bestiame, fa notare ancora Bombassei. «Sono aspetti che stiamo considerando con la massima attenzione» assicura Coppe. «E, d’altra parte, se abbiamo portato a compimento un’opera come quella della demolizione del Ponte Morandi, ritengo che siamo nella capacità di garantire anche cantieri così semplici ». Cantieri che, per la verità, sono centinaia sulle montagne devastate da Vaia. In Veneto intanto stanno per partire, in questi giorni, lavori di messa in sicurezza di 245 siti valanghivi. «Abbiamo stanziato, solo per questa voce – riferisce il presidente della Regione, Luca Zaia – 250 milioni. D’altra parte, abbiamo centinaia di chilometri di strade da salvaguardare e ben 600 abitazioni».

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