martedì 17 novembre 2009
La decisione del governo di «blindare» il testo del provvedimento interrompe il confronto sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Scoppia la guerra dell’acqua: i Comuni non potranno più gestire il servizio idrico integrato e dovranno aprire ai privati. Frizioni anche nella maggioranza.
  • Ma sull’acqua si doveva costruire dialogo di P. Viana
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    Il governo chiede la fiducia alla Camera sul decreto Ronchi, già approvato a Palazzo Madama. Formalmente, il provvedimento affronta il tema delle infrazioni comunitarie. In realtà, al centro del decreto vi è la liberalizzazione dei servizi pubblici locali compresa l’acqua. La scelta del governo fa infuriare le opposizioni e crea qualche mal di pancia nella Lega. «Si tratta - dice la relatrice del provvedimento, Annamaria Bernini - di un approccio rapido e preventivo per evitare di incorrere in infrazioni». Dopo il voto di oggi pomeriggio, la partita si sposterà comunque, come spiega anche il ministro per gli Affari Regionali Raffaele Fitto, sul regolamento attuativo dell’articolo 15 del provvedimento, che riguarda appunto i servizi pubblici locali. «Questa riforma attendeva da oltre un decennio. Le polemiche sulle risorse idriche non ne scalfiscono la sostanza. Tra l’altro si tratta di polemiche su una privatizzazione che non esiste. Infatti - sottolinea Fitto -, in Senato, proprio con l’accoglimento dell’emendamento presentato dal Pd, si è ancor più nettamente, là dove mai fosse stato necessario, ribadita la natura pubblica delle risorse idriche». Precisazioni che cercano di contenere le polemiche: sia l’Italia dei Valori che i Verdi annunciano una raccolta di firme per indire un referendum contro la liberalizzazione dell’acqua. «Pochi grandi gruppi - attacca poi la vicepresidente del Pd Marina Sereni - faranno affari d’oro a discapito dei cittadini che subiranno l’aumento delle tariffe dell’acqua». Le associazioni ambientaliste, Wwf in testa, contestano la norma. Per l’Uncem, «la liberalizzazione dei servizi pubblici locali è un tema delicatissimo nella governance del territorio. L’acqua è un diritto e non un bene economico, e come tale non può essere una risorsa sottoposta alle logiche di mercato. Ma il punto non è tanto chi gestisce le reti e la distribuzione delle risorse, bensì quanto torna al territorio in termini di investimento. E per questo occorre un serio monitoraggio sul rinnovo delle concessioni» ha spiegato il presidente Enrico Borghi.
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