lunedì 3 aprile 2023
Per la vice Alto commissario per i rifugiati Kelly Clements «i corridoi umanitari sono uno strumento salvavita, ma non bastano. All'Italia, come ad altri paesi, serve il sostegno internazionale»
Kelly Clements nella sede dell'Acnur di Roma

Kelly Clements nella sede dell'Acnur di Roma - foto Liverani

COMMENTA E CONDIVIDI

La sede romana dell’Acnur, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, è a due passi da piazza Vittorio Emanuele II all’Esquilino, quartiere multietnico della Capitale. È qui che incontriamo la vice Alto commissario dell’Agenzia per i rifugiati, la statunitense Kelly Clements. Di passaggio a Roma, ha trovato nella sua agenda – tra una riunione alla Fao e un’incontro alla Farnesina – una finestra per ragionare con Avvenire di integrazione, corridoi umanitari, politiche comunitarie.

La guerra in Ucraina, più tutte quelle lontane dai riflettori, il sisma in Siria e Turchia, i cambiamenti climatici: l’Acnur ricorda periodi così critici?

Viviamo in tempi tremendamente difficili, se guardiamo a quanti Paesi di asilo ospitano rifugiati da anni o da generazioni. La mancanza di soluzioni politiche non permette alle persone di tornare a casa in modo sicuro e volontario. Sono tempi caratterizzati da una complessa combinazione di sfide. Oggi siamo di fronte al più alto numero di sempre di persone costrette a fuggire dalle proprie case. Allo stesso tempo dobbiamo considerare la situazione economica: la guerra in Ucraina ha provocato inflazione, problemi energetici, insicurezza alimentare. È un’economia mondiale fragile, come lo è la capacità delle superpotenze economiche di sostenere le esigenze umanitarie e di sviluppo.

Questa settimana sono arrivati in Italia, grazie ai corridoi umanitari, richiedenti asilo da Libano e Grecia. Per la seconda volta in fuga, dopo quella dai paesi di origine, a causa dell’invivibilità dei campi profughi. Sostenere i paesi di prima accoglienza può limitare spostamenti secondari, disordinati e pericolosi?

Assistiamo a un aumento del numero di rifugiati siriani provenienti dal Libano. Come di afghani da Pakistan o Iran. Deve essere chiaro che non può essere responsabilità di un solo Paese assumersi l'onere di accogliere e trovare soluzioni, va condiviso a livello regionale e globale. Va sostenuto innanzitutto chi fugge, ma anche i Paesi limitrofi. L’Unione Europea deve trovare il modo di accrescere collettivamente la responsabilità.

I governi da anni esprimono apprezzamento per i corridoi umanitari. Ma - al di là del supporto amministrativo - resta tutto a carico degli organizzatori. I risultati sono una goccia nel fiume dei flussi irregolari. Il coinvolgimento diretto degli Stati potrebbe produrre un’alternativa sicura ai trafficanti?

I corridoi umanitari sono letteralmente percorsi salvavita. Ovviamente auspichiamo il maggior numero possibile di percorsi regolari per chi ha bisogno di protezione. Oggi i numeri sono senza precedenti, per cui è necessaria una combinazione di sostegno pubblico e privato. Qui in Italia ho potuto constatare il forte sostegno delle comunità, degli enti locali e nazionali per fornire il supporto alle persone.

La prima accoglienza tocca agli stati. Poi c’è l’integrazione: il mondo produttivo può avere un ruolo?

Assolutamente sì, e anche qui in Italia, come nei paesi in cui c'è bisogno di manodopera, è necessario un incontro con la comunità di accoglienza. E il modo più rapido per far attecchire l'integrazione è che la società sia inclusiva, in modo che le persone rifugiate trovino un lavoro, mandino i figli a scuola, accedano ai servizi. Così i rifugiati possono prendersi cura di se stessi.

L’impegno dell’Italia per l’integrazione è da considerare adeguato? E quello dell’Europa?
Una delle ragioni per cui sono venuta in Italia è stata riconoscere il sostegno ricevuto da questo Paese per i crescenti bisogni umanitari nel mondo. E abbiamo bisogno che questo sostegno continui e cresca ulteriormente, a livello privato e pubblico. Nessun Paese dovrebbe essere costretto a farcela da solo. L'Italia, come altri, ha bisogno del sostegno dei paesi della regione e della comunità internazionale. È attraverso questo tipo di cooperazione che possiamo trovare soluzioni per chi è costretto alla fuga, ma soprattutto per fornire sostegno nei territori da cui le persone arrivano, affinché non siano costrette a dover intraprendere viaggi pericolosi. E la leadership dell'Italia in questo ambito è fondamentale per salvare vite.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: