domenica 27 febbraio 2011
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«La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù». Questa assicurazione si può leggere nel sito de il Dono, una Onlus che si occupa di sostegno alla gravidanza indesiderata e alle conseguenze dell’aborto, con la sottolineatura che la preghiera «è il momento in cui si abbandona l’orgoglio, si eleva la speranza e si invoca nella supplica».L’esperienza insegna che anche l’orgoglio è uno degli ostacoli che si possono trovare nel portare, come ha raccomandato ieri Benedetto XVI nel discorso alla Pontificia accademia della Vita, «gli aiuti necessari alle donne che, avendo purtroppo già fatto ricorso all’aborto, ne stanno ora sperimentando tutto il dramma morale ed esistenziale». «La coscienza sembrava come attutita dal panico di essersi trovati sole e senza aiuto davanti ad una gravidanza indesiderata, da un’egoismo camuffato con intenzioni convenzionali – spiega la psicologa Benedetta Foà che nel Cav della Mangiagalli di Milano si occupa di madri, e a volte anche di padri, feriti dalle conseguenze di un aborto volontario – ma dopo l’interruzione della gravidanza comincia ad urlare. Il bambino rifiutato torna costantemente alla memoria. Lo si piange in ogni momento. Compare nei sogni. Non si fa nient’altro ora che occuparsi di lui. C’è come una coazione punitiva a rivedere nei siti filmati di aborti». Una conseguenza dovuta alla educazione cattolica ricevuta? Nient’affatto: praticanti e non, mussulmanti ed atei, madri e padri, poveri e benestanti, sono accomunati dal medesimo dramma. Il valore universale della vita si impone a dispetto di tutti i relativismi. «È questo il momento di non chiudersi in se stessi – consiglia la Foà – di cercare aiuto, di iniziare un percoso di guarigione. Chi può riscoprire la propria fede ha un formidabile aiuto: può accettare la propria debolezza, i propri errori, chiedere perdono a Dio, al proprio bambino, perdonare se stesso. Accogliere la misericordia di Dio. Difficile fare i conti con un ego che deve rispondere solo a se stesso». L’accoglienza del resto, riferisce Paola Bonzi, fondatrice e presidente leader del Cav della Mangiagalli, è attitudine fondamentale nell’educazione alla vita: «Se una donna non ha sperimentato l’accoglienza nella sua esistenza, a partire dal rapporto con sua madre, sarà più tentata a pensare di non essere in grado di portare avanti una gravidanza di fronte alle difficoltà». Per guarire il dramma del post-aborto, la Foà consiglia 8 incontri distribuiti lungo 2 mesi. Se si tratta di una coppia, madre e padre, hanno bisogno di sedute separate per far sgorgare senza interferenze il proprio dolore, una sofferenza che può portare in qualche caso a tentare il suicidio. «Offriamo un percorso di guarigione dalle ferite dell’aborto – propone anche Serena Taccari presidente de il Dono –: un percorso umano, psicologico e spirituale. È un percorso di consapevolezza, non semplicemente una pacca sulla spalla, come dire "va bene, dai, cosa fatta, capo ha, guardiamo avanti". No. Guardiamo indietro alle cause profonde della scelta di aborto». La sezione dedicata del sito spiega che «il percorso è rivolto a tutte le persone, donne, uomini, parenti, coinvolti in modo diretto o indiretto». «Organizziamo dei ritiri spirituali indirizzati anche a persone non credenti, o anche credenti di altre confessioni o religioni, come buddhisti, musulmani, e vediamo che Gesù Cristo parla a tutti e la sua parola ha un’efficacia assoluta». Ad animare la onlus il Dono, si spiega nel web, «quelle che nonostante le difficoltà   sono orgogliose di aver scelto di accogliere la vita del proprio bambino», ed anche quelle donne «che ci sono cascate, ingannate dal pensare che fosse una scelta, quella tra istruzione, carriera, compagno o quel che vuoi.. e il proprio bambino; e che amaramente hanno scoperto che non c’è nulla che possa colmare quel vuoto lasciato da un figlio». La presentazione però garantisce che ora le associate sono «quelle che si sono rialzate dopo aver toccato il fondo, e che ora urlano a un mondo egoista che le donne meritano scelte migliori».In Italia opera in questo campo anche la Vigna di Rachele, un apostolato cattolico nato nel 1994 negli Usa e diffusosi in 20 Paesi, trae il suo nome dal passo del profeta Geremia, nel quale Dio le viene in soccorso perché «piange i suoi figli». L’iniziativa, spiega la coordinatrice Monika Rodman Montanaro, «accompagna le persone ferite dall’aborto a un nuovo incontro con Gesù misericordioso. E questo trasforma la vita».
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