giovedì 19 luglio 2012
Il racconto lucido e appassionato di Rosa Maria Nicotra che da 32 anni ha colloqui con donne straniere in gravidanza chiuse nel Centro per richiedenti asilo del Catanese. «So che un faccia a faccia vale una vita», ma spesso l’assenza di un mediatore vanifica ogni tentativo.
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​«Da 32 anni svolgo colloqui, e so che un faccia a faccia vale una vita». Mentre parla la voce di Rosa Maria Nicotra per un attimo s’incrina. È il solo cedimento in un racconto lucido e appassionato: «Quando le immigrate del Centro di accoglienza richiedenti asilo di Mineo che vorrebbero interrompere la gravidanza vengono accompagnate nell’ospedale, a Caltagirone, non facciamo altro che chiedere la presenza dei mediatori culturali e linguistici». Ma gli interpreti quasi mai ci sono. «E come si fa a comprendere le motivazioni che spingono la donna a chiedere di rinunciare alla maternità?».A pensarci le fa rabbia. Una rabbia che è anche frustrazione: «Perché molte volte, quando siamo riusciti a parlare a queste donne, ad ascoltarle, a dialogare con i loro uomini, siamo riusciti a convincerle ad accogliere la vita nascente». I numeri non danno alibi. Se dall’inizio dell’anno si sono contate sette interruzioni di gravidanza, altrettanti sono stati i casi di ragazze del Cara, dove oggi è atteso il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, che alal fine ci hanno ripensato, e che tra non molto saranno mamme.Le motivazioni che solitamente vengono illustrate a chi si occuperà di eseguire l’aborto possono apparire banali: «Qui non abbiamo futuro, non sappiamo dove andremo a vivere né cosa faremo». Parole dietro a cui si nasconde il disagio dell’incertezza di chi, ospite di un villaggio a cui non mancano i comfort, vive in tempo sospeso.  Il racconto dell’assistente sociale è confermato da altre fonti ospedaliere e da operatori di organizzazioni di volontariato. C’è poi una questione, per così dire, culturale: «Non possiamo far passare un messaggio sbagliato - insiste Nicotra -, come se interrompere la gravidanza sia una cosa facile, da compiere senza pensieri». Non è un osservazione fuori luogo. È già successo, più di una volta. In ospedale sono state accompagnate dal Cara di Mineo ragazze che meno di tre mesi prima avevano interrotto la gravidanza e adesso volevano fare lo stesso con una nuova gestazione. «Eh no, non è possibile, ho detto. Non si può affrontare una cosa così importante con leggerezza. Non possiamo e non dobbiamo lasciar credere che si possa essere superficiali, quando invece occorrerebbe capire cosa c’è dietro ad una gravidanza indesiderata. Del resto, quando in un’unica struttura si mettono a vivere duemila persone, è impossibile - osserva Nicotra - sapere come stiano esattamente le cose».Nelle ultime settimane si sono susseguite voci di un giro di prostituzione interno agli immigrati, su cui sta indagando la procura di Calagirone. Intanto la Provincia di Catania, a cui è affidata la gestione del Cara, già in questi giorni potrebbe varare modifiche sostanziali al sistema di assistenza sanitaria, passando da una gestione emergenziale a una più adatta a una struttura che non ha per niente l’aria di una sistemazione provvisoria. La strada per ottenere lo stato di rifugiato è lunga e piena di ostacoli. È anche di questo, con ogni probabilità, che parlerà domani il ministro Cancellieri incontrando una delegazione di rappresentanti delle varie etnie, i responsabili e gli operatori della struttura e la Commissione territoriale per il riconoscimento dell’asilo politico.A Rosa Maria Nicotra, ora che si appresta ad andare in pensione, non resta che una delusione da trasformare in appello: «Si sarebbero potuti salvare molti altri bambini, se ci fosse stata una rete efficiente di mediatori culturali ed esperti. Se quantomeno ai consultori fosse permesso di lavorare nel Cara, avremmo avuto altre nascite da festeggiare».
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