martedì 30 agosto 2011
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Se la città è sotto choc, lui sta male. Perché Giovanni Bianchi, classe 1939, cat­tolico democratico e sestese doc, la ama e la conosce come pochi. E sa che ora sarà dura staccarsi l’etichetta «sistema Se­sto » cucita dai media sulle vi­cende di presunta corruzione che vedono protagonista l’e­sponente del Partito democrati­co Filippo Penati, ex sindaco e vicepresidente (sospeso) del consiglio regionale, e alcuni im­prenditori locali per le aree Falck. Bianchi, già presidente nazionale delle Acli, poi parla­mentare eletto in questo colle­gio, presidente del Ppi, leader della Margherita e infine fonda­tore del Pd, qui ha esordito co­me indipendente Dc nel 1965. Era un consigliere d’opposizio­ne alle giunte socialcomuniste che divideva proponendo sov­venzioni alle materne delle suo­re. E ci tiene a ricordare che l’ex Stalingrado d’Italia non è la tra­duzione sulle sponde del Lam­bro della Brescello di Peppone e don Camillo, ma la città del la­voro dove fino agli anni 70, 40mila tute blu arrivavano al­l’alba anche in treno dal lecche­se e dalla Valcamonica. Sorpreso dalla vicenda?Sì ed è una sorpresa dolorosa. La storia di questa città mi ap­partiene. Sono nato nel mondo cattolico e ho sempre militato nel cattolicesimo democratico. Mio padre era un partigiano cri­stiano, i miei zii erano partigia­ni garibaldini e comunisti. Noi avevamo in casa l’immagine della Sacra famiglia, i miei cugi­ni quella di Stalin, poi sostituita con quella di Papa Giovanni XXIII. Questa era Sesto, con il suo fumo e le grandi fabbriche, la città del lavoro. Nostalgia?Non serve. Però va recuperata una certa etica democratica. Sa perché la chiamavano Stalin­grado d’Italia? Perché qui nel 1943 ci furono i primi scioperi contro i nazisti in Europa, pro­prio mentre la città sovietica spezzava l’assedio di Von Pau­lus. Ecco perché leggere del «si­stema Sesto» mi fa male. Qual è stato il punto di svolta?Le radici del caso Sesto sono due. Primo, la sinistra e il cen­trosinistra hanno governato per 67 anni senza interruzione. Non una settimana, insomma. Su questo non ha ragione Andreot­ti, il potere logora. Secondo, dal 1996 siamo il sito europeo con la più grossa metratura di aree dismesse. Banalmente vuol di­re che le grandi fabbriche non ci sono più. Sono un problema i­nedito, mettono alla prova la classe dirigente della città e la sua vecchia cultura. Non solo politici, ma anche imprenditori e professionisti. Possono essere un’occasione, ma finora non si è fatto un metro quadro di bo­nifica né un metro cubo di edi­ficazione. Addio alla presunta diversità morale della sinistra?Francamente mi è sempre sem­brata una stupidaggine. La na­tura umana è come un albero storto da una parte e dall’altra. E non è neppur vero che, sicco­me queste cose si farebbero a Sesto, allora siamo tutti uguali. Non è questione di destra, cen­tro o sinistra. In democrazia si distinguono due posizioni: chi crede alle regole e chi le di­sprezza. Chi ci crede, però, co­me mi auguro ci creda il Pd, de­ve rispettarle per primo. Così si raddrizza l’albero. Secondo lei cosa deve fare Fi­lippo Penati?Lo conosco da sempre e da ga­rantista penso che dovrebbe an­dare dal giudice per dimostrare la sua estraneità rinunciando al­la prescrizione per il reato di cor­ruzione. Per inciso, voluta da u­na legge ad personam inventa­ta dal governo Berlusconi. Poi spero che la magistratura chiarisca in fretta.
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