Se la città è sotto choc, lui sta male. Perché Giovanni Bianchi, classe 1939, cattolico democratico e sestese doc, la ama e la conosce come pochi. E sa che ora sarà dura staccarsi l’etichetta «sistema Sesto » cucita dai media sulle vicende di presunta corruzione che vedono protagonista l’esponente del Partito democratico Filippo Penati, ex sindaco e vicepresidente (sospeso) del consiglio regionale, e alcuni imprenditori locali per le aree Falck. Bianchi, già presidente nazionale delle Acli, poi parlamentare eletto in questo collegio, presidente del Ppi, leader della Margherita e infine fondatore del Pd, qui ha esordito come indipendente Dc nel 1965. Era un consigliere d’opposizione alle giunte socialcomuniste che divideva proponendo sovvenzioni alle materne delle suore. E ci tiene a ricordare che l’ex Stalingrado d’Italia non è la traduzione sulle sponde del Lambro della Brescello di Peppone e don Camillo, ma la città del lavoro dove fino agli anni 70, 40mila tute blu arrivavano all’alba anche in treno dal lecchese e dalla Valcamonica.
Sorpreso dalla vicenda?Sì ed è una sorpresa dolorosa. La storia di questa città mi appartiene. Sono nato nel mondo cattolico e ho sempre militato nel cattolicesimo democratico. Mio padre era un partigiano cristiano, i miei zii erano partigiani garibaldini e comunisti. Noi avevamo in casa l’immagine della Sacra famiglia, i miei cugini quella di Stalin, poi sostituita con quella di Papa Giovanni XXIII. Questa era Sesto, con il suo fumo e le grandi fabbriche, la città del lavoro.
Nostalgia?Non serve. Però va recuperata una certa etica democratica. Sa perché la chiamavano Stalingrado d’Italia? Perché qui nel 1943 ci furono i primi scioperi contro i nazisti in Europa, proprio mentre la città sovietica spezzava l’assedio di Von Paulus. Ecco perché leggere del «sistema Sesto» mi fa male.
Qual è stato il punto di svolta?Le radici del caso Sesto sono due. Primo, la sinistra e il centrosinistra hanno governato per 67 anni senza interruzione. Non una settimana, insomma. Su questo non ha ragione Andreotti, il potere logora. Secondo, dal 1996 siamo il sito europeo con la più grossa metratura di aree dismesse. Banalmente vuol dire che le grandi fabbriche non ci sono più. Sono un problema inedito, mettono alla prova la classe dirigente della città e la sua vecchia cultura. Non solo politici, ma anche imprenditori e professionisti. Possono essere un’occasione, ma finora non si è fatto un metro quadro di bonifica né un metro cubo di edificazione.
Addio alla presunta diversità morale della sinistra?Francamente mi è sempre sembrata una stupidaggine. La natura umana è come un albero storto da una parte e dall’altra. E non è neppur vero che, siccome queste cose si farebbero a Sesto, allora siamo tutti uguali. Non è questione di destra, centro o sinistra. In democrazia si distinguono due posizioni: chi crede alle regole e chi le disprezza. Chi ci crede, però, come mi auguro ci creda il Pd, deve rispettarle per primo. Così si raddrizza l’albero.
Secondo lei cosa deve fare Filippo Penati?Lo conosco da sempre e da garantista penso che dovrebbe andare dal giudice per dimostrare la sua estraneità rinunciando alla prescrizione per il reato di corruzione. Per inciso, voluta da una legge ad personam inventata dal governo Berlusconi. Poi spero che la magistratura chiarisca in fretta.