martedì 9 ottobre 2018
Presi di mira due esponenti dell’antimafia: atti intimidatori verso il presidente della commissione regionale Antimafia e il presidente del Centro Padre Nostro a Brancaccio
La facciata del Centro di accoglienza Padre Nostro, a Brancaccio

La facciata del Centro di accoglienza Padre Nostro, a Brancaccio

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Presi di mira due esponenti dell’antimafia, rappresentanti in modo diverso di un impegno sul campo in Sicilia. Ieri mattina è stata recapitata una busta con un proiettile calibro 7,65 al presidente della commissione regionale Antimafia Claudio Fava, negli uffici di Palazzo dei Normanni. A scoprire il contenuto della busta i suoi collaboratori, che hanno immediatamente provveduto ad avvisare la Digos, che ha sequestrato il materiale e ha avviato le indagini. «Non ho commenti da fare. Posso solo dire che si va avanti nonostante le intimidazioni » dichiara Claudio Fava, figlio dello scrittore e giornalista Pippo ucciso dalla mafia a Catania nel 1984.

Un segnale particolarmente inquietante perché negli ultimi mesi la commissione Antimafia si sta occupando del caso Montante, ex presidente di Sicindustria arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, e del depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio, dando seguito all'appello di verità lanciato da Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo ucciso il 19 luglio 1992. Inoltre, la settimana scorsa, proprio su proposta della commissione presieduta da Fava, il Parlamento regionale ha approvato una legge che impone ai deputati di dichiarare l’eventuale appartenenza alla massoneria.

Sull'episodio intimidatorio un coro di solidarietà trasversale, proveniente da ogni forza politica, istituzionale e sociale. Arriva la condanna del presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci e quella del presidente dell’Assemblea regionale, Gianfranco Micciché. «Si tratta di un atto vile e indegno di un Paese civile» dichiara il ministro dell’Interno Matteo Salvini, manifestando la volontà di incontrare al più presto Fava.

Dai palazzi del potere alla periferia di Palermo, un altro atto intimidatorio ai danni del presidente del Centro Padre Nostro, Maurizio Artale, che sabato pomeriggio è stato affrontato da un residente in piazza Anita Garibaldi, dove è stato ucciso padre Pino Puglisi 25 anni fa e dove lo scorso 15 settembre è arrivato papa Francesco. L’uomo, «un energumeno » come lo definisce Artale, ha cominciato a inveire contro di lui e contro il centro, perché da quando esiste la casa-museo del beato Pino Puglisi è diventato impossibile posteggiare le auto sul marciapiede e non si può più vivere tranquilli. «Hanno fatto bene ad ammazzarlo» avrebbe detto, continuando a indicare la casa del sacerdote ucciso dalla mafia.

Una scena sconvolgente, un’aggressione verbale su cui Artale sta valutando se presentare denuncia. Ma che spinge anche a un’amara considerazione. «Mi sono chiesto: 'Ma dove erano le centinaia di persone che hanno esposto lenzuoli bianchi ai balconi in occasione della venuta del Papa? Come mai nessuno è sceso dalla propria abitazione per cercare di condurre alla ragione l’energumeno? Come mai quando ho alzato lo sguardo verso le finestre e i balconi prospicienti la piazzetta, non c’era nessuno?' – si domanda Artale –. Questo non deve capitare. Quei lenzuoli bianchi devono diventare lo specchio della coscienza».

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